Nel luglio del 1911 – in segreto – Giolitti e il re preparano le condizioni di attacco alla Libia; nessuno doveva sapere nulla, tanto meno il Parlamento. L’Austria e la Germania, alleate dell’Italia, devono essere tenute all’oscuro per evitare ogni azione diplomatica. La Francia, impegnata nell’occupazione del Marocco, ha altro cui pensare. Proprio per contenere la Francia, l’Inghilterra – amica dell’Italia fin dai giorni dell’unificazione – non era ostile a un’espansione italiana ai danni dei cugini d’Oltralpe . Anche gli ambienti meno sensibili al nazionalismo di Enrico Corradini, che cantava le glorie italiche e il primato italiano, si mostrano tuttavia attenti a uno spirito nuovo.
Vale la pena ricordare che lo stesso Giovanni Pascoli, il poeta del “fanciullino”, lontano perciò mille miglia dall’epica trionfalistica, si schiera a favore dell’impresa: la “quarta sponda“ sarebbe servita a ripagare i sacrifici e le umiliazioni che, proprio in quegli anni, i nostri emigranti stavano conoscendo. Scrive il poeta:
La grande proletaria si è mossa. Una vasta regione che già per opera dei nostri progenitori fu abbondevole d’acqua e di messi, e verdeggiante di alberi e giardini, da un pezzo per l’inerzia delle popolazioni nomadi e neghittose è per gran parte un deserto. Là i lavoratori saranno non l’opre mal pagate, mal pregiate, mal nomate degli stranieri, ma nel senso più alto e forte delle parole, agricoltori sul suo, sul terreno della patria; non dovranno, il nome della patria, a forza abiurarlo, ma apriranno vie, coltiveranno terre, devieranno acque, costruiranno case, faranno porti, sempre vedendo in alto agitato dall’immenso palpito del mare il nostro tricolore.
La situazione precipita a settembre quando i turchi decidono di inviare un’unità navale con armi e rifornimenti a Tripoli , in quella Libia che sta sotto il dominio turco. l’Italia esce allo scoperto e invia un ultimatum. Le cancellerie internazionali sono colte di sorpresa, anche l’opinione pubblica appare per un attimo vacillare sotto l’incalzare degli eventi. A fine settembre si svolge uno sciopero generale che assume contorni antimilitaristi. Tra le fila dei manifestanti troviamo un giovanissimo Pietro Nenni e Benito Mussolini. Il 29 settembre l’Italia dichiara guerra alla Turchia.
Giolitti aveva chiesto al capo di Stato Maggiore dell’esercito, generale Alberto Pollio di preparare 40.000 uomini. Diventeranno successivamente 80.000.
Le prospettive sono come sempre rosee: una guerra che dovrà essere breve, con perdite limitate, mentre i coloni si prepareranno ben presto a trasformare il deserto in un giardino. La guerra, come sappiamo, sarà molto più difficile di quanto gli stati maggiori avessero preventivato.
Si fanno largo le prime tecniche di propaganda. Già è stato detto di poeti e giornalisti ; si stampano ora anche cartoline postali con immagini di palmizi, di navi che solcano il Mediterraneo verso la nuova terra promessa, mentre il tricolore con lo stemma sabaudo sventola sulle torri della Cirenaica.
“ Tripoli, bel suol d’amore” cantano i nostri soldati ; quegli stessi soldati che ben presto registreranno perdite rilevanti, dovranno affrontare la guerriglia, denunciare penuria di mezzi e, insieme, sprechi di risorse, atti di vigliaccheria ed eroismi, fucilazioni di ribelli e inutili sacrifici di giovani vite.
E’ vero che il contingente turco venne affrontato e sconfitto in un lasso di tempo relativamente breve. Ma le popolazioni arabe dettero del filo da torcere alle nostre truppe, del tutto impreparate a dover affrontare la resistenza di piccoli gruppi che agivano con la tecnica delle imboscate.
Il 5 ottobre 1911 l’esercito ha già occupato Tripoli e Bengasi ma a fine mese si verifica il sanguinoso scontro di Sciara Sciat, durante il quale muoiono più di 500 uomini dell’II° Reggimento bersaglieri. Anticipi di quella guerra, fatta di attacchi e rappresaglie, che costerà molto cara all’Italia e la occuperà per diversi mesi. (2-continua)