Visto che sono ancora lontano dalla mia biblioteca, Kurt mi scrive per raccontarmi che – approfittando della
mia assenza – ha pure messo il naso nella posta (per eventualmente segnalarmi urgenze, dice Lui!) e si è
persino ritenuto autorizzato ad aprire un pacco di volumi freschi di stampa, fra i quali spiccava “The gun,
the ship and the pen” (Il cannone, la nave e la penna) di Linda Colley: una professoressa di Storia alla
Princeton University con la passione per gli incroci fra i propri studi di elezione e le vicende del diritto
pubblico.
L’interesse degli storici per le vicende costituzionali dei Paesi che sono oggetto del loro interesse è noto
d’altronde noto fin dai tempi di Aristotele; meno frequente è però il caso di studiosi che pongano sullo
stesso piano le penne dei costituzionalisti e le armi di terra e di mare usate per conquistare un qualunque
territorio.
Una veloce ricerca sul Web mi ha consentito di identificare immediatamente il volume, appena stampato a
Londra; più difficile è stato capire chi me l’abbia spedito e perché.
Ma tale questione la risolverò al mio ritorno, né può essere di interesse per i lettori: anche se forse lo
diventerà alla luce di quello che sto per raccontare.
Ancora il Marziano mi dice infatti di aver trovato in quel libro la spiegazione dei drammatici eventi di questi
giorni in Afghanistan, ma soprattutto di aver individuato l’errore compiuto dal Governo degli Stati Uniti nel
prescegliere il momento di ritiro delle proprie truppe d’occupazione, finalizzate innanzitutto a contrastare il
ripetersi di episodi come quelli dell’11 settembre 2001.
Poiché l’Extraterrestre non è nuovo a fornire interpretazioni alquanto suggestive di quel che vede o di quel
che legge, ho vouto reperire quel testo in e-book per dover poi constatare, mio malgrado, come Kurt
potesse anche aver ragione.
La tesi centrale di Colley è infatti la seguente: la storia del mondo moderno ci insegna che non basta
conquistare territori e popoli con le armi per poterli dominare, occorrendo pure – subito dopo la conquista –
dotarli di una Costituzione e preferibilmente di una Costituzione scritta; non a caso il suo libro è
accompagnato da un sottotitolo (“Warfare, Constitutions and the making of Modern Age”) che ne enfatizza
l’originalità dell’approccio.
In quel saggio viene anche spiegato perché le vicende costituzionali da cui è nato l’odierno Regno Unito
abbiano rappresentato una eccezione solo apparente a quest’ultima regola; essenzialmente perché
l’Inghilterra ha una Costituzione più che solida, in quanto fondata – oltrechè su convenzioni fra i diversi
poteri che ne compongono l’assetto materiale – su regolamenti parlamentari che ben disegnano l’equilibrio
fra i poteri di quel Paese: a supporto di una simile ricostruzione, l’Autrice riporta il dialogo fra Jeremy
Bentham e un allievo di Hegel, nel corso del quale il Primo – apprezzato autore di uno studio del 1823 sui
principi universali da versare nelle Costituzioni di ciascun Paese – spiega al Secondo come tali principi
fossero ormai talmente radicati nel sistema inglese della non aver più bisogno di essere sanzionati per
iscritto.
Ecco dunque che non è bastato – a chi oggi precipitosamente lo abbandona – l’aver conquistato l’Afghanistan e l’averlo militarmente occupato per vent’anni, aiutando i suoi maggiorenti a costruire un proprio esercito in grado di combattere il terrore talebano e non solo quello; non è bastato perché – accanto all’istruzione sull’uso delle armi di difesa e di attacco, gli occupanti non hanno provveduto anche a fornire di una cultura giuridica pubblicistica la classe dirigente che – presumevano – avrebbe governato il Paese dopo il loro ritorno in Patria.
Della gravità di quell’errore nessuno parla: forse perché è un discorso da iniziati o magari semplicemente
perché si preferisce offrire, in pasto all’opinione pubblica, ragionamenti più appetitosi di quelli
rappresentati da disquisizioni di tipo essenzialmente tecnico-giuridico.
Per un accidente della storia è però avvenuto che – quasi contestualmente al dramma afghano – sia venuto
alla luce questo libro le cui conclusioni, prima o poi, non potranno che venire all’attenzione di coloro i quali
guidano oggi i destini del mondo.
Ho dunque risposto a Kurt per ringraziarlo di quanto segnalatomi e per dirgli che condividevo i suoi
ragionamenti sulle origini del dramma afghano, ma per tutta risposta il Marziano ha replicato alla Mail con
un secco “Ma allora sarò io ad essermi sbagliato!”.
Scherzava? Diceva sul serio? Valli a capire questi extraterrestri!