Fu una mossa geniale. Nello stupore generale, a prendere la parola fu un consulente finanziario. L’agenda per quel seminario, affollato da ragazzi sulla ventina, era infatti altra. Tuttavia, nessuno ci fece più caso dopo pochi minuti. Il tema era come imparare a risparmiare, con tanto di sessione pratica usando un paio di app. Insomma, toccare con mano, vedere come si fa, per non farsi trovare impreparati.
Probabilmente molti dei presenti avrebbero poi fatto i conti con un futuro basato sulla precarietà e la professoressa, che quell’incontro organizzò, doveva saperla lunga. Provengo da un piccolo villaggio africano, mi raccontò. La mia famiglia vive ancora lì.
Oggi come oggi, fare i conti con l’assenza di una prospettiva di lungo termine è il problema. Ed è una delle principali cause del comune senso di smarrimento. Siamo disorientati. E i nostri figli lo sono ancora di più. Basta parlarci cinque minuti. Nella migliore delle ipotesi, la storia è che nella mia cameretta ci dormo, ci gioco, ci seguo le lezioni, ci studio, spesso ci mangio in un continuum indefinito che aliena. Mi sfugge il senso di tutto ciò, mi fa uno di loro.
Una delle più recenti statistiche ci dice che se prima della pandemia una persona su quattro era affetta da patologie mentali, oggi lo sono quattro persone su quattro. Tutti. E l’ansia per ciò che potrebbe avvenire trova terreno fertile nel presente.
Si tratta di ferite aperte che non riescono a cicatrizzare. Per esempio, il 2020 si è chiuso in Italia con quasi mezzo milione di posti di lavoro in meno rispetto allo stesso periodo del 2019 e la fine delle misure emergenziali fissate al 31 Marzo pone con estrema urgenza le politiche del lavoro al centro del tavolo.
Come spiega bene un’analisi della Banca Centrale Europea, poiché lo shock prodotto dalla pandemia ha colpito soprattutto i settori ad alta intensità di lavoro, cioè commercio al dettaglio, ricezione e servizi di ristorazione, intrattenimento e ricreazione, l’impatto sulla domanda di lavoro potrebbe rivelarsi essere più forte rispetto alle crisi finanziarie del passato.
Viceversa, prosegue lo studio, l’aumento del numero di lavoratori scoraggiati, i flussi migratori ridotti verso le economie avanzate (vedi, per esempio, i muri alzati dalla Brexit), nonché il ritardo educativo cui sono esposte larghe fette della popolazione più giovane, come recentemente sottolineato da una ricerca condotta dalla società di consulenza strategica McKinsey & Co., porterebbero a un generale impoverimento della qualità del capitale umano e quindi dell’offerta di lavoro.
Risolvere questa complessa equazione richiede una risposta politica efficace che guardi a nuove formule, partendo dalle opportunità offerte dalla digitalizzazione dell’economia fino alla contaminazione tra i diversi settori produttivi al fine di facilitare la circolazione di persone, competenze e conoscenze per generare nuove soluzioni e sostenere la crescita economica del Paese. In altri termini, quanto non è stato fatto negli ultimi due decenni e che ci ha portato al declino.
Con il Recovery Fund all’orizzonte, questa sfida rappresenta una delle missioni chiave cui sarà chiamato in causa il nuovo governo perché è da qui che passa il lavoro del futuro. Quindi, la pace sociale.