Le partite sulla sorte del Governo spesso somigliano ad una mano di poker in cui qualcuno che non ha niente in mano bluffa, qualche altro sopravvaluta le sue carte, ma vince sempre chi intuisce le debolezze degli avversari e fa il suo gioco tranquillo senza smargiassate.
Conte non può sbagliare la prossima mossa, nell’interesse suo e soprattutto dell’Italia. Se si arroccasse in modo sdegnoso e altero rischierebbe di far saltare il tavolo e sconfesserebbe il suo ruolo di ago della bilancia di una coalizione complessa, l’unica oggi possibile. Conte sa benissimo che le elezioni anticipate non convengono né al Pd, né ai 5 Stelle e tanto meno a Renzi. I sondaggi parlano chiaro: perderebbero tutti. Forse potrebbero convenire a lui che potrebbe presentarsi con un suo partito e incassare un consenso non inferiore al 12-15%. Ma sarebbe comunque uno sconquasso che paralizzerebbe l’Italia per sei mesi, proprio quelli in cui dobbiamo vaccinare decine di milioni di persone e dare attuazione ai progetti di ripresa economica. Agitare lo spauracchio delle elezioni non è una buona idea. Sarebbe considerato un ricatto e potrebbe essere una vittoria di Pirro per Conte: terrebbe in piedi un governo malconcio ma trasformando gli alleati in nemici giurati che, prima o poi, gliela farebbero pagare.
Bisogna pensare ad altre soluzioni. E ce ne sono solo due.
La prima l’abbiamo prefigurata sulla Discussione del 10 dicembre (leggi l’articolo). È un’ipotesi che presuppone che Renzi passi dalle parole ai fatti e ritiri i suoi ministri. Si aprirebbe una crisi di governo non al buio, ma “pilotata” perché Renzi non direbbe a Mattarella che pensa di cambiare maggioranza. Invece di un rimpasto con girandola di poltrone si rinegozierebbe il patto di governo aggiornando il programma e schierando una squadra nuova e rafforzata. Conte si assicurerebbe la guida del Governo almeno fino all’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, febbraio 2021, ma ne uscirebbe ridimensionato proprio perché sarebbe costretto a rinegoziare tutto. E, in ogni caso, la crisi di governo non sarebbe indolore: per almeno un mese tutto si fermerebbe, i mercati non gradirebbero l’instabilità e ce la farebbero pagare.
L’altra soluzione è meno traumatica e richiede nervi saldi e una buona dose di saggezza. La medicina in questi casi è la collegialità. I governi italiani si basano su coalizioni più o meno litigiose. Compito del Presidente del Consiglio è mediare, spegnere i fuochi e dimostrare capacità di leadership. Dal settembre 2019 abbiamo suggerito invano a Conte, sulle colonne della Discussione, di costituire il Consiglio di Gabinetto, organismo previsto dalla legge sulla Presidenza del Consiglio in cui inserire i ministri principali e i capi delegazione dei partiti della maggioranza. Oggi, però, anche questo non basterebbe più. Conte potrebbe rafforzare il vertice del Governo proponendo un Direttorio formato con vicepresidenti del Consiglio espressi ai massimi livelli dai partiti di maggioranza. Dovrebbero essere i segretari Zingaretti e Renzi. I 5 Stelle dovrebbero scegliere chi proporre, visto che formalmente Di Maio non è capo politico da gennaio. Con vicepresidenti del Consiglio del calibro di Renzi, Zingaretti e forse Di Maio, Conte potrebbe assicurare una forte collegialità scrollandosi di dosso l’accusa di voler essere l’uomo solo al comando. Sarebbe una soluzione indolore, senza balletti di ministri e Conte ne uscirebbe rafforzato perché sarebbe lui a proporla e non a subirla.
Se invece di fare questa proposta Conte si imbarca nell’avventura di un rimpasto o di una totale rimessa in discussione della cabina di regia del PNRR, si infila in un tunnel di estenuanti trattative che finirebbero per condizionarlo più di quanto non immagini e che non farebbero bene neanche all’Italia.