I nostri incubi sono cartine geografiche precise della nostra personale storia, dell’orrore subito e rimosso, di quelle ossessioni che sarebbero orrore a danno di altri se le agissimo. Eppure l’incubo è qualcosa di più, è altra forma di vita in un altro spazio; qualcosa di serio e portante, a cui guardare accettando il pericolo di perdersi, perché lì dentro è ben custodita un’altra lunga parte di esistenza che ha fame e sete e meno la guardi, più si agita per farsi ascoltare. È così che alle volte, l’orrore sfonda soglie imposte e si riversa nelle nostre vite. “Esiste un legame tra l’orrore e la bellezza? È vero che non sono riconducibili l’uno all’altra? Oppure la bellezza è figlia dell’orrore? Il bello è la parata immaginata dall’uomo per contenere l’orrore.” Queste parole indelebili, pronunciate dalla scena, sono il perno di “Nottuari”.
Con rigore scenico e visioni di alto valore letterario, Fabio Condemi ha debuttato in prima nazionale al Teatro India, dal 22 febbraio al 5 marzo, con lo spettacolo Nottuari, ispirato ai racconti di Thomas Ligotti, tra i maggiori scrittori contemporanei di weird e horror, per esplorare i lati oscuri del reale facendo sbiadire le linee di confine dal sogno all’incubo in un ipnotico vagare, attraverso una produzione Teatro di Roma in sinergia con LAC di Lugano, Teatro Piemonte Europa, Teatro Metastasio di Prato ed Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale. Per la prima volta la scrittura di Thomas Ligotti – fatta di slittamenti sulla soglia tra realtà e veglia per indagare l’esistenza e portarla nel cuore dell’incubo – sale in scena attraverso la cifra drammaturgica e registica di Condemi, che traspone questa “narrativa del mistero” costruendo lo spettacolo come una sorta di galleria d’arte, alla ricerca della rappresentazione dell’orrore che permea il reale e le esistenze. E sembra davvero, immersi con lo sguardo nello spazio scenico, di essere dentro uno spazio intimo, privato, in cui ognuno può riconoscere una parete, un tratto, un angolo dell’incubo che abita il fondo della nostra psiche quando la lasciamo raccontare, al buio, le oscure figure che la abitano.
Questo trovo sia uno dei più grandi meriti di quest’opera funzionale tra teatro, installazione e performance: creare un’immediatezza di riconoscimento e di dialogo con ogni spettatore, col fardello di incubi propri che ognuno tiene nascosto sotto il letto, la capacità di svelare, quando cadono gli argini dell’approdo al mondo real-razionale, che l’incubo ha una sua grammatica ancestrale, che il disordine rosso e nero, urlante, ha un suo ordine che permea tutto l’orrore possibile all’umano. Più volte, durante lo spettacolo, mi sono sorpresa a pensare: ”questo è accaduto anche a me”. Il regista ci sta dicendo, attraverso la scena: signori il regno della notte ci governa tanto quanto quello della luce e noi siamo corpi di carne continuamente morsi e accarezzati da quest’opposizione di forze. Anche la nudità in scena assume una dimensione inedita, epurata da qualsiasi suggestione seduttiva o morale, non è che corpo offerto, che passa asservito e consegnato alla dimensione dell’incubo ed appare, la figura più capace di restituire il significato della morte, di là da qualsiasi simbolizzazione: carne che passa.
soglia. Credo che l’opera poetica, saggistica, narrativa e perfino musicale di Ligotti sia caratterizzata proprio da questo ostinato farsi spazio negli slittamenti, negli spiragli del reale. Il cuore dell’orrore è l’unico modo per sfuggire all’orrore e la scrittura stessa si fa ventriloquio, prende strade inesplorate in cui non importa chi sia l’io che parla. Se c’è una funzione della narrativa weird è proprio quella di ‘ripristinare un po’ della stupefazione che talvolta proviamo, e che probabilmente dovremmo provare più spesso, davanti all’esistenza nel suo aspetto». In questa ricerca sulla “esperienza” del mistero attraverso la scrittura di Ligotti, Condemi propone un’opera scenica e visionaria con cui esplorare il senso di meraviglia di fronte all’irrealtà, per un risvegliarsi al misterioso come unico antidoto al torpore dell’esistenza. E lo fa traducendo in teatro una delle penne più immaginifiche, ironiche e misteriose del nostro tempo, lasciando riverberare in scena gli echi narrativi di cui si nutrono i racconti dello scrittore: la grande letteratura weird e horror, da Shirley Jackson a H. P Lovecraft, ma anche richiami al cinema espressionista, all’arte contemporanea, ad autori come E. Cioran, Dino Buzzati, J.L.Borges, Danilo Kis, Giacomo Leopardi, e alle musiche di Davis Tibet e i Current 93.
Per questo motivo lo spettacolo in Ligotti è sempre rimandato, squallido, inconcludente, il palco è vuoto e desolato e proprio per questo credo sia stimolante provare a restituire in teatro il senso di impermanenza che sprigionano le sue pagine e l’opacità delle sue immagini che (per usare una terminologia cara a Duchamp) si imprimono più nella mente che nella retina. I racconti weird di Ligotti mettono in crisi l’idea stessa di intrattenimento, di divertissment. La società dello spettacolo descritta da Guy Debord è una società addormentata».



