Governo rimandato a gennaio. Ora naturalmente ci sarà la pausa natalizia, ci sarà Capodanno, l’Epifania; e mentre gli italiani subiranno la zona rossa, in bilico tra gli arresti domiciliari e poche ore di libera uscita, le diplomazie dei partiti non festeggeranno, non si fermeranno. Anzi. Lavoreranno alacremente.
Sono tanti i giochi da svolgere, le partite da disputare. In segreto o palesi. Il governo Conte traballa. Dalla sua, ha l’istinto di conservazione di una nomenklatura che teme il voto, perché sa benissimo che non sarà rieletta. Per due ragioni: il taglio dei parlamentari e il sicuro spostamento a destra degli italiani (ma nemmeno nella misura che si attende Salvini). Contro di lui, ha l’usura di una maggioranza giallorossa, ormai divisa su tutto. E questo l’ha capito anche il presidente della Repubblica che ormai, Costituzione alla mano, ha accettato a malincuore l’ipotesi di un governo di transizione, emergenziale, che possa traghettare senza dolore i cittadini verso la prossima legislatura.
Del resto, sono tanti gli appuntamenti in agenda: manovra economica, definizione dei progetti del Recovery, le amministrative di maggio-giugno e appunto, il semestre bianco, che scatterà ad agosto. Non si può votare. Era una minaccia-esortazione del Quirinale (se cade Conte si vota), ma adesso il quadro è mutato.
Quadro che differenzia Salvini e Meloni. Nelle interviste incrociate di oggi, si discostano e di parecchio (tattica, convinzione?). Il Capitano, in alternativa al voto, pensa a uno spostamento parlamentare di maggioranza: centro-destra più volenterosi. Con a capo una figura istituzionale, un professionista, una risorsa della Repubblica (Draghi?). Una strategia che conferma lo scivolamento al centro della Lega. Per essere accettati, credibili per il Palazzo, bisogna offrire delle garanzie, e in questo caso, le garanzie sono una Lega moderata, non più anti-europeista, non più sovranista, ma unicamente italiana (frase di Salvini). La conferma? E’ di dominio pubblico il protocollo che Giorgetti ha firmato con la Csu bavarese, nel nome di un nuovo Ppe. Il sacrificio per restare coerenti e non passare da traditori del gruppo dei sovranisti europei, è sempre quello: contribuire a cambiare la maggioranza di Bruxelles, togliendo il Ppe dal patto con la sinistra. Insomma, una Ue di centro-destra. Cosa condivisa dalla Meloni che però di governo emergenziale non vuol sentir parlare (“negli Usa hanno votato in piena pandemia”).
Voto (improbabile) o diverso governo parlamentare (più probabile), l’unica certezza è che Conte ha i mesi “contati”.
Renzi, nel tanto sospirato e sempre rimandato summit, ha ribadito i punti critici per lui fondamentali per rimanere o staccare la spina: nomine dei servizi, riforma della giustizia, diversa ripartizione dei soldi del Recovery, uso del Mes, no alla cabina di regia, modello Colao. Resta da vedere se la sua interdizione sia esclusivamente poltronista (aggiungi un posto a tavola), o dettata da interessi mediatici per conquistare consenso e uscire da quel 3%, la condanna dei sondaggi. Il Pd è stanco, si sta avvicinando a Renzi e i 5Stelle vivono una drammatica lotta interna.
È proprio vero: Di Maio, prima del governo gialloverde, sulle ali della sua rivoluzione dal basso (il boom grillino), aveva inaugurato il termine in positivo “Terza Repubblica”, come sinonimo di cambiamento. Adesso, Terza Repubblica è sinonimo del caos francese. Che ha portato alla Quarta, ancora peggiore, e poi alla Quinta: il presidenzialismo di De Gaulle, che ha aggiustato il Paese. In Italia?
(Lo_Speciale)