“I medici di famiglia non sono ratificatori di Green Pass. Né burocrati. E sono tenuti a rilasciare attestati solo delle attività che hanno svolto in prima persona o di cui hanno conoscenza documentata”.
I medici non ci stanno a fare da passacarte e mettere timbri su attività che non hanno svolto in prima persona. A dirlo è Silvestro Scotti, segretario della Fimmg, la Federazione dei medici di famiglia che invita i suoi iscritti a non rilanciare nessun attestato.
“I medici di famiglia non sono ratificatori di Green Pass. Né burocrati. E sono tenuti a rilasciare attestati solo delle attività che hanno svolto in prima persona o di cui hanno conoscenza documentata”.
“Questo significa che se ho fatto un tampone antigenico o una vaccinazione è fuori discussione che io rilasci un attestato al mio paziente. Non posso certificare, però, ciò che non ho fatto”, sottolinea Scotti, che ha inviato una nota agli iscritti invitandoli a non rilasciare certificati dopo l’avvertimento del Garante della Privacy sui limiti del documento in materia di protezione di dati. “Il Garante della privacy”, commenta il leader dei medici di famiglia, “conferma che quello che noi diciamo è assolutamente coerente. Io, come medico di famiglia, non posso rilasciare documenti che derivano da dati sanitari ottenuti da altri soggetti senza che questi abbiano avuto, a loro volta, una preventiva autorizzazione da parte del cittadino. Se il cittadino non ha dato il consenso all’Hub dove si è vaccinato come vengono diffusi i dati? Ricordo che il consenso firmato dai cittadini all’atto della vaccinazione è relativo alla pratica vaccinale non alla gestione dei dati”, spiega ancora Scotti che si domanda, “per quale regione gli Hub vaccinali o gli ospedali, che dimettono i guariti, non dovrebbero rilasciare la certificazione? Perché i medici di famiglia dovrebbero essere scambiati per ‘impiegati dalla Asl’: siamo medici, certifichiamo i nostri atti, non quelli di altri”.
Per Silvestro Scotti, anche il Piano nazionale di Rinascita è una delusione in particolare ciò che viene indicato per la sanità territoriale.
“Secondo il Pnrr ci sarà una Casa della Comunità ogni 132 kmq: così non si costruisce l’assistenza di prossimità. Non c’è nulla per le aree di disagio e per i piccoli paesi, 16 milioni di cittadini vivono in comuni con meno di 5 mila abitanti che rischiano di essere tagliati fuori. E poi non è nemmeno chiaro il progetto degli ospedali di comunità”.
“Non è chiarito ruolo dei medici negli ospedali di comunità”, osserva ancora Scotti, “che sembrano essere a gestione infermieristica. Ma se c’è problema di area medica come si fa? Ci dovrà essere un medico reperibile o disponibile e su questo il Recovery non fa menzione Noi puntiamo com’è noto sul micro team, l’unica soluzione in grado di affermare il principio di prossimità evocato in questi mesi”.