Gli Stati più ricchi, per soddisfare i loro consumi, importano prodotti provenienti dai Paesi tropicali e sub-tropicali, partecipando alla deforestazione e alla trasformazione di ecosistemi naturali.
Questi processi producono delle conseguenze che impattano in maniera devastante sul nostro pianeta: rischi idrogeologici, variazioni climatiche, riduzione della biodiversità, effetto serra.
Cambiamenti che generano elevati costi sociali per gli individui, che per la loro portata non possono dipendere da scelte individuali, ma meritano valutazioni e misure coordinate da organismi superiori.
UE: SECONDO IMPORTATORE GLOBALE
Il report del Wwf, “Stepping up: The continuing impact of EU consumption on nature” si basa su studi condotti dallo Stockholm Environment Institute (Sei) e sulle analisi del Transparency for Sustainable Economies-Trase, e mostra cosa si cela dietro le importazioni Ue.
L’Unione europea risulta il secondo importatore al mondo di “deforestazione incorporata”, subito dopo la Cina.
In dodici anni è stata capace di generare l’80% della deforestazione collegata alle importazioni da Paesi tropicali, e a essere coinvolte maggiormente sono le principali economie dell’Unione: Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia, Belgio e Polonia.
La responsabilità dell’Ue è rintracciabile nei processi di deforestazione e trasformazione di 203 mila ettari di terreni naturali, con l’emissione di 116 milioni di tonnellate di Co2.
Tra il 2005-2017 la soia, l’olio di palma e la carne bovina sono stati, in termini quantitativi, i prodotti importati dall’Ue ad avere il maggior peso nella deforestazione tropicale, seguiti dai prodotti legnosi prelevati da piantagioni, cacao e caffè.
LE PROPOSTE DELL’UE
La Commissione europea è già a lavoro per presentare una proposta legislativa da sottoporre al Parlamento europeo e agli Stati membri, al fine di individuare altre soluzioni e interrompere le procedure che legano la deforestazione alle importazioni Ue.
Lo studio condotto dal Wwf fa un ulteriore passo avanti, mettendo in luce la necessità che questa legge estenda la tutela, oltre che agli ecosistemi forestali, anche alle praterie, alle savane e alle zone umide delle stesse regioni, che “vengono distrutti per far spazio a campi e pascoli a causa della crescita della domanda di prodotti e del trasferimento delle produzioni agricole e zootecniche dai terreni occupati da foreste verso altri tipi di ecosistemi”.
Secondo uno degli autori principali del report, Anke Schulmeister-Oldenhove, “in questo momento l’Ue è parte del problema ma, con la giusta legislazione, potrebbe diventare parte della soluzione”.
A parer suo, i dati pubblicati dal Wwf dovrebbero essere utilizzati dalla Commissione europea per corroborare la proposta di legge da presentare al Parlamento.
In conclusione, ribadisce che “questa legge dovrà impedire a qualsiasi prodotto, realizzato in modo legale o illegale, collegabile comunque alla trasformazione degli ecosistemi, di entrare nei mercati dell’Unione Europea. Il provvedimento dovrà andare ben oltre le misure volontarie per le imprese, fornendo alle aziende regole chiare e attuabili”.