Una discontinuità netta si è prodotta nella storia dell’Europa: un incendio – latente nel periodo Romantico – e divenuto epoch-machend (epocale) con Nietzsche, sradicante dalla sua origine greca l’intera civiltà europea e la missione che ne scaturiva; non soltanto la comprensione e predicazione esatta di tutte le dimensioni dell’essente, ma la razionalizzazione delle stesse forme della nostra vita. La “vita contemplativa” o bíos theôrêtikós – che non è antitesi tra attività del lavoro e stato di quiete e meditazione, bensì una commistione tra le due cose – non cessa ad oggi di rappresentare la vita lato sensu; la contemplazione che si fa meditazione ed investigazione (il theorein greco) è chiamata ad informare di sé sia le diverse dimensioni del fare (poiein) che la prassi (techne politikè). La successiva crisi consiste in effetti nella scissione operata tra filosofia e scienza, nel cambio di considerazione della filosofia: da scienza rigorosa ed episteme ad aura sapienziale ed astratta che prende il posto del rigore proprio della sua natura liberatrice dalla “superstizione del fatto” (secondo Husserl) e che perviene alla fondazione di principi universali ed atemporali; le varie “visioni del mondo” si costituiscono di interessi pratici, pulsioni psichiche, temi etici, religiosi, politici offrendo l’impressione di una profondità che è in realtà unicamente parte di un generico caos, di una confusione incorporea. Sarebbe utile allora combattere tali tendenze e porre nuovamente in evidenza la scienza nella sua impersonalità ed oggettività, nella sua posizione ed approccio o Haltung scientifica che indirizzi e guidi la nostra vita. Ma che cosa significa scienza della filosofia? Significa che in un sistema le parti debbano risultare connesse sulla base di un comune principio, che ne costituisca l’archè, immanente allo sviluppo di ogni campo del sapere. Questo il punto di capitale importanza per Hegel: che fosse giunto il tempo per la filo-sofia di dire addio al proprio nome di “amante” per affermarsi come sapere assoluto. La philo-sophia non si compie nella cultura intesa quale sapere enciclopedico – quella che anche Gramsci non riteneva tale – bensì nello scientifico, ossia nel Scientiam facere e nel philosophein: filosofare, fare filosofia. Si tratta di una vera e propria Auf-hebung: un superamento che è inveramento, ricollocazione del passato filo-sofico su un piano più alto, così da salvarne il valore. Non è più possibile ricondurre a unità sfere distinte dell’esperienza come quella morale o quella estetica o quella giuridica. È inconcepibile pensare ad una vita in forma enciclopedica. Il processo di razionalizzazione si rende pienamente coincidente con quello di specializzazione; e questo non sovverte affatto l’istanza suprema che la filosofia, nel suo ambito specifico, si costituisca come scienza. Anzi, afferma tale principio e rende la filosofia il collante capace di congiungere le parti, di guardare ad ogni campo complessivamente: senza applicare un’innaturale separazione dei saperi e della prassi – ma rendendoli l’uno necessario ed utile teoricamente e pragmaticamente per l’altro.