La poesia è una combattente. Una di quelle che resiste: percorre ed oltrepassa periodi storici, correnti, movimenti, evolvendosi nella forma e mai rinunciando alla sua natura; si rigenera senza arrendersi, senza mai perire. È il modo insieme più diretto e pure ermetico per trasmettersi, indagando sé stessi, gli altri, il reale e l’irreale. E tanti sono i suoi baluardi quanti i suoi guerrieri: uno di loro, Daniele Pieroni, sembra rappresentare questa esegesi. Un combattente nello spirito e nell’impegno poetico che non nasconde mai la sofferenza del resistere, come la forza insita nel dolore che gli permette di manifestarsi con semplicità. Infatti i periodi della sua poetica sono vigorosi e puntuali: semplici nella loro forma e sostanza. Trasmettono le difficoltà di una vita, il timore per un “dopo” incerto, con il candore di chi non ha niente di nascosto o celato. Qui sta forse il punto nevralgico dell’autore e della poesia in genere: nello spogliarsi di qualunque sovrastruttura senza perdersi; senza mai perdere la propria essenza, la dignità, il valore. Ed è proprio questo che fa un combattente: si spoglia, è pronto a far guerra e a perdere le proprie battaglie in nome del valore, che vive e si fortifica nel suo donarsi. Spogliarsi degli schermi e degli schemi che adottiamo, non significa necessariamente – come spesso si fraintende – smarrirsi o raccontarsi senza pudore al pubblico, mercificando l’anima: offrirsi e mostrarsi senza misura. Eppure spettacolarizzare il proprio dolore al giorno d’oggi sembra quasi andar di moda e che rappresenti l’unica via certa per l’acclamazione popolare. Il pudore non è soltanto quello che ci impedisce di toglierci gli abiti in mezzo alla strada, altrimenti ragioneremmo unicamente per divieti e permessi, tramite una concezione animale e primitiva. Il pudore, etico ed estetico, è figlio della dignitas di ognuno di noi. E la poesia non è un lamento, e nel caso di Pieroni più che mai si sostanzia della sacralità del pudore e si racconta senza grandigia alcuna. Pudore e dolore coesistono, si prendono per mano sobriamente e caparbiamente – combattono contro un destino avverso con grazia, senza urlarne la dolenzia. In tutti i campi come nella poesia il dimostrarsi è ben diverso dal mostrarsi: tutto sta nella concezione che attiene all’essere e all’apparire. Ebbene ciò che è realmente, permane dentro di noi, lascia una traccia quando lo incontriamo – ciò che appare è effimero e volubile quanto il suo ϕαινόμενον. E benché a volte ci rappresentino le apparenze come realtà, prima o dopo ne coglieremo perfettamente l’effettiva natura. L’apparenza ha vita e breve ed è ingannevole per definizione, dunque fittizia: inutile allora preoccuparsi di dimostrare, di restare incompresi; tutto verrà da sé, come nella poesia.