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Legambiente: “Meno cave, più scavi”

Il nuovo rapporto fotografa un settore in contraddizione. Canoni bassi e una legge ferma a un secolo fa
mercoledì, 5 Novembre 2025
3 minuti di lettura

È stato presentato ieri a Rimini, nel corso di Ecomondo, il Rapporto Cave 2025 di Legambiente. Dall’analisi emerge che in Italia il numero di cave autorizzate, cioè quelle con permesso di estrazione, è sceso a 3.378. Una diminuzione del 20,7 per cento rispetto al 2021 e addirittura del 51 per cento rispetto al 2008. Nonostante questo calo, i prelievi di sabbia e ghiaia, fondamentali per l’edilizia, sono cresciuti fino a 34,6 milioni di metri cubi all’anno.

Un andamento simile riguarda anche il calcare, utilizzato per produrre cemento e materiali da costruzione: nel 2025 l’estrazione ha toccato 51,6 milioni di metri cubi, quasi il doppio rispetto a quattro anni fa. In calo, invece, le pietre ornamentali come marmi e graniti, che scendono a 5,5 milioni di metri cubi.

Un settore ancora regolato da una legge del 1927

Il direttore generale di Legambiente, Giorgio Zampetti, ha sottolineato il ritardo normativo: «È inaccettabile che un settore con forti impatti ambientali ed economici sia ancora regolato da un decreto del 1927, basato su un approccio datato e che trascura le ricadute sui territori, come polveri, consumo di acqua, rumore, vibrazioni e alterazioni del paesaggio».

Legambiente denuncia che la mancanza di regole aggiornate impedisce una gestione sostenibile delle attività estrattive. In molti casi, le autorizzazioni vengono rinnovate automaticamente senza un controllo puntuale sullo stato ambientale dei siti. Il rischio è quello di un uso del suolo sempre più intenso, con conseguenze su ecosistemi, falde acquifere e biodiversità.

Canoni di concessione troppo bassi

Altro nodo critico riguarda i canoni di concessione, cioè il costo che le imprese pagano alle regioni per poter estrarre materiali. In molte aree italiane la cifra è inferiore a 50 centesimi per ogni metro cubo di sabbia o ghiaia estratta. Secondo il rapporto, il gettito complessivo per le casse pubbliche non supera i 20 milioni di euro l’anno.

Legambiente stima che, se i canoni venissero adeguati al 20 per cento del valore di mercato, come accade nel Regno Unito, le entrate potrebbero salire a circa 66 milioni di euro. La differenza, oltre 46 milioni, rappresenta un mancato guadagno per le amministrazioni pubbliche. Una cifra significativa se si considera il peso ambientale e infrastrutturale delle attività estrattive.

Cave dismesse e mancate bonifiche

Il rapporto segnala anche l’aumento delle cave abbandonate, spesso lasciate senza interventi di recupero ambientale. In tutta Italia ne risultano censite 14.640, il 3,5 per cento in più rispetto al 2021. Solo una piccola parte è stata riqualificata o destinata a nuovi usi.

In Lombardia, Toscana, Puglia e Piemonte si concentra la maggior parte dei siti dismessi. La Lombardia guida la classifica con oltre 3.100 cave non più operative. Secondo Legambiente, la mancanza di un piano di riconversione per queste aree rappresenta una ferita aperta nel territorio e una perdita di opportunità per creare nuovi spazi verdi o aree di tutela naturale.

Il ritardo sul riciclo dei materiali

Un altro fronte debole è quello del riciclo degli inerti, i materiali provenienti da demolizioni e costruzioni che potrebbero essere riutilizzati al posto delle materie prime. L’Italia è ancora lontana dagli standard europei: si stimano tra 2.000 e 3.000 impianti di recupero, molti dei quali di piccole dimensioni. In paesi come Germania, Regno Unito e Paesi Bassi la percentuale di riutilizzo dei materiali da costruzione è molto più alta.

Le regioni più attive nel riciclo sono Lombardia, Piemonte, Veneto, Trentino e Toscana, ma nel complesso la quota di materiali recuperati resta bassa. «La sfida della circolarità deve diventare una priorità nazionale» ha ribadito Legambiente, ricordando che un maggior uso di materiali riciclati ridurrebbe sia i costi di smaltimento che l’impatto ambientale delle nuove estrazioni.

Cave concentrate in poche regioni

Attualmente in Italia sono 1.678 i comuni con almeno una cava attiva. La concentrazione maggiore si trova in Lombardia, Veneto e Puglia, regioni che da sole raccolgono oltre 900 siti autorizzati. La distribuzione geografica riflette la storica presenza del settore edilizio e la disponibilità di materiali utili, ma pone anche problemi di equilibrio ambientale.

In alcune province il numero di cave in rapporto alla superficie è tra i più alti d’Europa. Secondo Legambiente, questo dimostra la necessità di una pianificazione più attenta e di limiti più stringenti per proteggere il territorio.

Verso una transizione sostenibile

Nel rapporto, l’associazione ambientalista propone alcune misure per riformare il settore. Tra queste, un canone minimo nazionale legato al valore di mercato, la definizione obbligatoria dei Piani per le Attività Estrattive nelle regioni che ancora ne sono prive e l’introduzione di criteri di demolizione selettiva nei lavori pubblici.

Il Piano per le Attività Estrattive, chiamato PRAE, è lo strumento di programmazione con cui le regioni stabiliscono dove e in che modo possono avvenire le estrazioni. Oggi manca in sei regioni italiane e in una provincia autonoma.

Legambiente invita infine a puntare sulla riconversione delle cave dismesse e sul potenziamento del riciclo, citando esempi virtuosi come la demolizione dell’ex ospedale Misericordia e Dolce di Prato, dove il 98 per cento dei materiali è stato recuperato, e il progetto “Corti di Medoro” di Ferrara, che ha riutilizzato oltre il 99 per cento dei rifiuti da costruzione.

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