martedì, 29 Luglio, 2025
Europa

Dazi, l’Europa si divide sull’accordo con gli Stati Uniti

L’intesa sul tetto tariffario al 15% scatena lo scontro tra governi. Per Bruxelles è un passo verso la stabilità, ma Francia e Germania bocciano l’intesa. Meloni: “Una base sostenibile”. La rabbia delle opposizioni

L’accordo siglato domenica tra l’Unione europea e gli Stati Uniti sul regime tariffario transatlantico rappresenta uno dei momenti più significativi, e perché no controversi, nella storia della politica commerciale internazionale.

A distanza di poche ore dalla firma difatti si è già acceso uno scontro durissimo tra sostenitori e oppositori dell’intesa. L’introduzione del tetto tariffario unico del 15% su gran parte dei beni esportati e importati tra le due sponde dell’Atlantico ha polarizzato il dibattito politico di ieri e sollevato interrogativi profondi sul futuro della sovranità economica europea.

Maros Sefcovic, Commissario europeo al Commercio e la sicurezza economica
Maros Sefcovic, Commissario europeo al Commercio e la sicurezza economica

Per Maros Sefcovic, Commissario europeo al Commercio, si tratta di un “risultato storico”, ottenuto dopo mesi di negoziati difficili: “Abbiamo evitato una guerra commerciale devastante. Il valore degli scambi tra Ue e Usa, pari a 1,7 trilioni di dollari, meritava ogni sforzo”, Ma per altri, a partire dal Primo Ministro francese François Bayrou, si tratta di un vero e proprio “giorno buio per l’Europa”, che avrebbe scelto di “sottomettersi” a Washington.

Ricordiamo che il cuore dell’intesa è rappresentato da un dazio generalizzato del 15% sulle merci transatlantiche. La misura, che, secondo Bruxelles, sostituirà la galassia di dazi già esistenti (in media attorno al 5%), è stata presentata come uno scudo contro un’escalation commerciale che avrebbe potuto portare all’imposizione unilaterale, da parte degli Stati Uniti, di dazi fino al 30%. Una mossa, questa, fortemente voluta dall’amministrazione Trump.

Sefcovic ha sottolineato l’importanza dell’accordo anche per il futuro dell’industria europea, citando misure di protezione congiunta per settori vulnerabili come l’acciaio, l’alluminio e il rame. È nata così quella che definisce “un’alleanza per i metalli”: una barriera tariffaria comune contro la sovraccapacità produttiva, soprattutto cinese.

La difesa dell’industria europea

Friedrich Merz, Cancelliere Federale della Germania
Friedrich Merz, Cancelliere Federale della Germania

Un altro punto centrale dell’accordo è la riduzione dei dazi sulle auto Ue esportate negli Stati Uniti: dal 27,5% al 15%. Una misura che dovrebbe favorire l’industria automobilistica europea, in particolare le Pmi coinvolte nelle catene di fornitura americane.

Ma secondo il Cancelliere tedesco Friedrich Merz, il danno per la Germania sarà “considerevole”, con pesanti ripercussioni sull’economia export-oriented tedesca. Anche Giorgia Meloni ha offerto un giudizio cauto: “Parliamo di una base sostenibile, ma serve ancora lavorare sui dettagli”. Il Premier ha sottolineato come l’intesa resti “non vincolante” e abbia bisogno di ulteriori chiarimenti, specialmente in ambito agricolo ed energetico. Eppure fonti vicine a Palazzo Chigi hanno rivendicato un ruolo centrale dell’Italia nei negoziati: “Meloni ha convinto von derLeyen a seguire una linea pragmatica”, le parole del Vicepresidente della Camera Fabio Rampelli.

Oltre al dazio del 15%, l’accordo prevede 750 miliardi di dollari in acquisti strategici europei dagli Stati Uniti (soprattutto gas liquefatto e tecnologie militari), 600 miliardi di dollari in investimenti privati europei da destinare all’economia statunitense, l’esclusione parziale o totale di alcune categorie di beni, tra cui farmaceutici e specialità chimiche e l’esenzione dalla global minimum tax per le multinazionali con sede negli Usa. Un accordo che, secondo Letizia Moratti (Forza Italia), “scongiura una guerra commerciale”, ma che “va corretto nei dettagli”. Meno concilianti i toni dell’eurodeputata Laura Boldrini, che lo ha definito “una debacle: costi altissimi per famiglie e imprese europee”.

Il fronte critico

La reazione politica all’accordo è stata esplosiva. Se da un lato Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno celebrato l’intesa come “il meno peggio” ottenibile, dall’altro l’opposizione ha parlato senza mezzi termini di una “resa”. Il Movimento 5 Stelle ha denunciato “decine di migliaia di imprese a rischio chiusura e centinaia di migliaia di lavoratori in bilico” e ha chiesto che Meloni vada immediatamente in Parlamento per spiegare la resa, sua e di von der Leyen, davanti a Trump.

Il Pd si è spinto oltre: Francesco Boccia ha parlato di “un’umiliazione politica e commerciale senza precedenti”, mentre Antonio Nicita ha definito l’intesa “la Trump Tax”, una sovrattassa implicita del 23% (15% dazi + 8% svalutazione del dollaro).“Altro che ponte con gli Usa, questa amicizia a senso unico di Meloni con Trump avrà un costo altissimo per le imprese e lavoratori italiani”, le dure parole della Segretaria democratica Elly Schlein che ha parlato di 20 miliardi di danni.

E mentre Viktor Orbán ha ironizzato sull’accordo (“Trump si è mangiato von der Leyen a colazione”), il russo Dmitry Medvedev ha lanciato attacchi velenosi, definendo Bruxelles “una colonia americana” e chiedendo persino l’impiccagione simbolica dei commissari europei.

Il nodo Italia

L’Italia esporta ogni anno tra i 66 e i 70 miliardi di euro verso gli Stati Uniti. Secondo il Centro Studi di Unimpresa, la nuova struttura tariffaria potrebbe tradursi in una perdita diretta tra i 6,7 e i 7,5 miliardi di euro. A ciò si aggiungono gli effetti indiretti, come il rialzo del costo del gas e l’obbligo implicito di acquistare armi statunitensi. Il rischio è maggiore per i settori ad alta esposizione: agroalimentare, automotive, moda e farmaceutico. Eppure, la distribuzione dell’impatto sarà disomogenea: i prodotti di fascia alta, tipici del Made in Italy, dovrebbero reggere meglio. In difficoltà, invece, le produzioni più standardizzate e a bassa elasticità di prezzo.

Anche il mancato inserimento della global minimum tax per le Big Tech americane (tema caro a molti Paesi membri) è visto come un cedimento grave. Alcuni, come Riccardo Magi (+Europa), hanno parlato di “una resa del sovranismo europeo a un sovranismo più forte: quello di Trump”.

Condividi questo articolo:
Sponsor

Articoli correlati

Usa-Ue, la resa dei conti sui dazi

Stefano Ghionni

QuiEuropa Magazine – 26/7/2025

Redazione

Dazi. Ue e USA alla ricerca di un accordo. Senza una intesa l’Unione pronta a tassare i beni americani per 93 miliardi

Maurizio Piccinino

Lascia un commento

Questo modulo raccoglie il tuo nome, la tua email e il tuo messaggio in modo da permetterci di tenere traccia dei commenti sul nostro sito. Per inviare il tuo commento, accetta il trattamento dei dati personali mettendo una spunta nel apposito checkbox sotto:
Usando questo form, acconsenti al trattamento dei dati ivi inseriti conformemente alla Privacy Policy de La Discussione.