Avevamo definito un’aggressione alle istituzioni europee la decisione della Corte Costituzionale tedesca, sbagliata nel metodo, nella forma e nella sostanza. E avevamo auspicato una reazione ferma affinché non potesse costituire un precedente. La reazione c’è stata e, nel 70° anniversario della dichiarazione di Schuman che pose le basi per la costruzione dell’Europa, non poteva esserci regalo migliore.
A rimettere in riga le improvvide toghe rosse tedesche ci hanno pensato prima il Parlamento europeo, guidato dall’italiano David Sassoli, poi la Commissione presieduta dalla tedesca Ursula von der Leyen: lo hanno fatto con garbo ma senza incertezze.
Con minore diplomazia e sintetico scatto di orgoglio è venuta la reazione della BCE, guidata da una francese che ribadendo la propria indipendenza ha definito irrilevante ai fini della sua azione autonoma la decisione della Corte di Karlsruhe: noi facciamo quello che abbiamo deciso di fare e andremo avanti per la nostra strada. Per dirla con Dante Alighieri: Non ragioniam di lor, ma guarda e passa (Inferno, III, 51).
Ma la reazione più forte e per così dire definitiva, non poteva non venire dal supremo Tribunale europeo, la Corte di Giustizia con sede in Lussemburgo che era stata volgarmente offesa dai giudici tedeschi in un ridicolo ma pericoloso tentativo di scavalcamento.
Tocca solo a noi decidere se un atto di un’istituzione dell’Unione è contrario al diritto dell’Unione-hanno detto i 27 giudici coadiuvati da 11 avvocati generali- e ogni nostra sentenza pregiudiziale è vincolante per tutte le Corti nazionali che sono obbligate a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione. E, tanto per evitare altri equivoci, la Corte conclude “Solo in questo modo può essere garantita l’uguaglianza degli Stati membri nell’Unione da essi creata” Come dire che, almeno per quanto riguarda il diritto comunitario, non ci sono Paesi di serie A che possano decidere di fare di testa propria e Paesi di serie B che rispettosamente si adeguano al rispetto delle regole e delle sentenze.
Dopo questa sventagliata di posizioni i giudici costituzionali tedeschi, che farebbero bene chiedere scusa- dovrebbero aver capito che loro non possono ordinare un bel niente alla BCE, né chiedere spiegazioni su una materia su cui c’è stata già una decisione definitiva, insindacabile e inappellabile della Corte di Giustizia europea.
Ma allora chi dovrà rispondere entro 3 mesi alla richiesta di Karlsruhe?
Se la BCE non è tenuta a farlo (e ci si augura che neanche per carineria si metta a scrivere un comunicato di tre righe) l’onere di spiegare che il comportamento della Banca centrale europea è stato corretto tocca ad un’istituzione tedesca.
Il Presidente del Bundestag, il falco rigorista ex ministro delle Finanze Wolfgang Schauble ha fatto capire che la decisione di Karlsruhe è pericolosa perchè se ogni Corte Costituzionale decide per i fatti propri, l’euro viene messo in discussione e finisce la moneta unica.
La Cancelliera Angela Merkel, che già normalmente di prudenza ne ha in eccesso, difficilmente entrerà sull’argomento per rispetto verso l’indipendenza dei giudici costituzionali.
L’unica istituzione che ha titolo e dovere di rispondere la Bundesbank guidata dal 2011 da quel Jens Weidmann, fiero oppositore sconfitto delle politiche di Mario Draghi. Tocca a lui dover difendere le decisioni della BCE rispetto ai rilievi posti dalla Corte di Karlsruhe. E non sarà per lui una passeggiata. Infatti, se -come probabile- dirà che la BCE ha operato con correttezza, sconfesserà gran parte delle sue obiezioni più volte manifestate contro le scelte di Mario Draghi e obbligherà i togati rossi tedeschi ad una umiliante ritirata.
Se invece -per assurdo- Weidmann dovesse far propri i rilievi dei giudici costituzionali dovrebbe immediatamente dimettersi perchè si sarebbe reso colpevole-agli occhi della Corte- di aver avallato decisioni della BCE in contrasto con quello che i giudici costituzionali del suo Paese ritengono elemento costitutivo dell’identità tedesca, e cioè la politica di bilancio su cui i giudici rivendicano il diritto di intervenire.
Come è noto, se Weidmann bocciasse platealmente la politica della BCE, la Corte di Karlsruhe ordinerebbe alla Bundesbank di vendere i titoli di Stato tedeschi acquistati nel periodo contestato, cioè dal marzo 2015 a tutto il 2019. Sarebbe la fine dell’euro che non conviene a nessuno, tanto meno alla Germania.
Un autogol migliore i giudici costituzionali tedeschi non potevano farlo.
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