Stamattina, Kurt il marziano mi ha posto una domanda imbarazzante: cosa c’entra la legge sulla Par Condicio, a suo tempo imposta dalla sinistra per impedire la vittoria elettorale di Berlusconi, con la violazione del principio europeo del diritto dei cittadini a “libere elezioni”?
Ho provato a cavarmela, facendo il professore e ricordandogli che la legge che regola la Par Condicio è quella del 22 febbraio 2000, n. 28 – che disciplina i periodi di campagna elettorale e che la funzione principale di tale legge dovrebbe esser quella di fare in modo che i partiti più piccoli abbiano i giusti spazi e non siano schiacciati da chi dispone di risorse e mezzi di comunicazione più grandi – ma Kurt ha avuto buon gioco nel controbattere che (in quella che – dice Lui – noi terrestri chiamiamo “democrazia compiuta”) è piuttosto singolare veder introdotti, appetto delle elezioni, obblighi e divieti che avevano l’evidente intento di provare ad alterare i risultati elettorali in favore delle forze politiche che in quel momento detenevano la maggioranza in Parlamento.
Il discorso su questo punto si è concluso quando il Marziano ha tirato fuori della mia biblioteca un polveroso volume di Lenin (Stato e Rivoluzione, Mosca, 1917) ove l’Autore ricordava ai suoi lettori come, dopo l’esperienza della Comune di Parigi del 1871, “la classe operaia non può impossessarsi semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini”, perché non sarebbe stato possibile impadronirsi di quella macchina senza in precedenza alterarne i meccanismi che le consentissero di funzionare e il primo di tali meccanismi sarebbe stato appunto quello che avrebbe dovuto condurre alla vittoria elettorale del proletariato.
In base a questa intuizione i Bolscevichi poterono portare la rivoluzione al successo: decisivo fu capire che – perché il proletariato potesse prendere davvero il potere – era necessario abbattere il capitalismo, distruggendo lo Stato borghese e la base economica sulla quale si reggeva, dando vita ad uno Stato operaio; ma questa forma di Stato non poteva certo esser conquistata attraverso libere elezioni: a differenza di oggi, dove i partiti non vogliono cambiare la forma dello Stato, ma più semplicemente adattarla al raggiungimento delle finalità per le quali, in questi giorni convulsi, chiedono di diventare maggioranza nel prossimo Parlamento.
Quando ho provato a controbattere che simili argomentazioni sono vecchie di un secolo, Kurt mi ha risposto che non è questo il momento di scambiarci lezioni di filosofia politica, ma è più utile ragionare su ciò che avverrà dopo le elezioni del 25 settembre.
Ha anche aggiunto – solo per ricordarmelo – che Lui sa vedere del futuro con la stessa lucidità con cui può tuffarsi nel passato e il futuro – segnato per la prima volta, negli ultimi trent’anni, da una clamorosa vittoria del centro-destra (ben più clamorosa di quella con cui Forza Italia tentò a suo tempo, senza successo, di governare la seconda Repubblica) – sarà carico di difficoltà assai minori di quelle oggi previste dalla grande stampa e dalla televisione di Murdoch: stavolta infatti i grandi problemi che il nuovo Governo dovrà affrontare non saranno di esclusivo appannaggio dell’Italia, ma coinvolgeranno l’intero mondo occidentale e comunque l’Europa nella sua interezza.
Si aggiunga a quanto sopra una novità di non poco conto (è sempre il marziano a dirlo): per la prima volta la forza del PD scenderà al di sotto del 20% e quel Partito si vedrà perciò costretto ad una nuova alleanza con il Movimento 5 Stelle, la cui crescita effettiva si rivelerà molto più consistente di quella indicata negli ultimi sondaggi pubblicati.
Mentre Kurt mi esponeva le sue previsioni ho fatto un errore di cui tuttora mi pento: quello di domandargli come si distribuiranno, all’interno del Centrodestra, le percentuali dei votanti.
A quel punto il Marziano si è irrigidito, rispondendo che mi aveva già rivelato fin troppo, anche perché la sua attenzione si era ormai spostata dalle elezioni italiane alle vicende politiche del Regno Unito, sulle quali la scomparsa di Elisabetta II avrà – sempre a suo dire – un impatto con cui gli Inglesi, e non solo loro, dovranno presto confrontarsi.
Riporto quanto sopra in base a quello che i giornalisti chiamano “dovere di cronaca”, perché l’analisi di Kurt non mi convince del tutto: ma … se avesse ragione Lui?