lunedì, 16 Dicembre, 2024
Cronache marziane

Il calore del clima e le tensioni dell’Euro

Stamattina Kurt – approfittando di una calura talmente insopportabile da averci spinto sul terrazzo di casa, nell’inutile ricerca di un po’ di refrigerio – ha tentato di approfittare della mia scarsa reattività del momento per elencarmi i primi fra i maggiori guai che colpiscono il nostro pianeta.

Lasciando da parte la guerra in atto e prendendola alla larga, il Marziano ha iniziato con il domandarmi se sia effettivamente possibile mantenere gli impegni internazionali raggiunti per la conversione dell’economia verso fonti energetiche rinnovabili, visto che la Russia sta dimostrando all’Occidente di essere in grado di metterlo in crisi semplicemente chiudendo i rubinetti del gas (peraltro già fornito a caro prezzo, causa la mancata ricerca, ad ogni livello istituzionale, di altri meno esosi fornitori).

Il discorso si è poi allargato verso le altre fonti di energia, il petrolio innanzitutto, per poi ripiegare sulla amara costatazione che gli Stati europei si trovano nella medesima condizione delle famiglie che li abitano: quella di chi non può pagare le bollette se non a costo di pesanti sacrifici, ovvero di accesso ad un indebitamento ulteriore e sempre più difficile da ripianare.

Siamo così arrivati ad affrontare il problema attorno al quale girano – senza mai indicarlo espressamente come tale – l’Unione Europea, gli Stati che la compongono, le imprese e i consumatori: quello della seconda crisi dell’Euro, di cui il rialzo degli Spread è indice talmente inequivocabile da aver spinto persino la Presidente della BCE a tornare rapidamente sui suoi passi, annunciando di voler ricercare da subito un nuovo strumento che prenda luogo del Quantitative Easing (l’acquisto di titoli del debito pubblico di ciascuno Stato membro, per allinearne i margini di appetibilità) ormai in corso di definitivo abbandono.

Non sapendo bene cosa replicare a Kurt, ho tentato di rifugiarmi dietro una frase del tipo “prima di giudicare negativamente la proposta Lagarde, proviamo ad esaminarla senza pregiudizi”, ma questo artificio retorico è riuscito solamente a sollevare l’ilarità del Marziano, secondo cui le leggi dell’economia sono talmente semplici da non aver bisogno degli economisti per spiegarle ad alcuno.

Anche in questo caso – ha proseguito Kurt – la questione deve essere esaminata e risolta, seguendo la legge della domanda e dell’offerta, secondo la quale gli investitori istituzionali (prima fra tutte la Banca Centrale Europea, ma non ultimi i fondi speculativi allestiti dalla finanza internazionale) acquistano i titoli del debito pubblico scegliendo quelli maggiormente remunerativi e la loro remunerazione è inversamente proporzionale alla quantità di risorse a disposizione dei loro possibili acquirenti.

Così stando le cose, il Quantitave Easing in corso di abbandono non potrebbe che essere sostituito da uno strumento di politica monetaria esattamente uguale, al quale i mercati potranno, al massimo, concedere un cambio di denominazione, ferma però la sostanza dell’intervento.

Messo in un angolo da così elementari considerazioni, ho dovuto convenire con Kurt sul fatto che il danno compiuto dalle imperdonabili dichiarazioni della Lagarde è non solo irreparabile, ma viene a sommarsi ad altri fattori – come il peggioramento del clima, la guerra che prosegue senza sosta, inflazione che ha preso a galoppare e altri elementi di minor conto – influenti tutti sulla tenuta dell’Euro quale moneta unica, alla cui crisi i mercati guardano con un’attenzione almeno pari a quella riservata alla crisi di altre valute: prime fra tutte il dollaro americano e lo yuan cinese.

Dobbiamo prepararci dunque ad un lungo periodo di tensioni sulla nostra valuta, ma anche sui nostri rapporti con l’Europa per evitare di ripetere gli errori a suo tempo compiuti da Angela Merkel nei confronti della Grecia dell’Italia; ma dobbiamo soprattutto convincere i nostri partner europei che la tenuta di una moneta unica, ove non accompagnata dalla creazione di un unico bilancio (come avviene negli Stati Uniti d’America), è destinata a recedere di fronte alle turbolenze dei cicli economici che periodicamente investono i Paesi che utilizzano quella moneta.

Siamo dunque obbligati, ormai, a scegliere la via della creazione di un unico bilancio europeo – infilandovi dentro tutti i debiti e i crediti degli Stati membri, così togliendo di mezzo anche la questione del differenziale fra i bilanci nazionali – oppure non resteranno che due alternative: la prima (già tentata attraverso l’imposizione del Governo Monti) sarebbe quella di consolidare il debito pubblico con la ricchezza privata (cioè introducendo un’imposta patrimoniale ben più alta dell’IMU, unita ad altre forme di prelievo straordinario sulle persone fisiche e giuridiche residenti in Italia) e la seconda – che tutti dichiarano ormai realizzabile – consistente invece nel progressivo ritorno alle monete nazionali.

Se poi esistesse una quarta strada, per uscire dal pantano in cui ci siamo cacciati, attendiamo di conoscerla al più presto da Christine Lagarde.

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