Per soddisfare la curiosità di Kurt il Marziano sull’ ultima contraddizione in cui è caduta l’Amministrazione Finanziaria – quella, per intenderci, secondo cui la cancellazione dell’Irap per gli imprenditori e i professionisti individuali, sebbene espressamente prevista dalla legge di bilancio 2022, non avrebbe efficacia retroattiva – ho dovuto spiegargli addirittura la differenza che corre fra un atto normativo che introduce o modifica ex nunc (ovvero per l’avvenire) un determinato regime tributario e l’identica tipologia di atto quando adottato a fini interpretativi e, dunque, con efficacia ex tunc (cioè, anche per il passato).
E infatti accaduto che l’ottavo comma della legge 234/2021 abbia finalmente previsto – Interpretando in forma autentica quanto a suo tempo fumosamente affermato dalla Corte Costituzionale a proposito del differente significato dell’organizzazione come indice di capacità contributiva – la cancellazione di tale imposta per le persone fisiche esercenti attività commerciali, nonché per quelle esercenti arti e professioni indipendentemente dagli assetti organizzati conferiti alle rispettive attività.
Il problema si è posto perché la disposizione in esame, diversamente interpretata, verrebbe a creare una disparità di trattamento ove il contribuente interessato – pur esentato dall’Irap per gli anni a venire – dovesse invece proseguire la propria lite con il fisco, onde farsi riconoscere l’esenzione anche per i periodi precedenti a quello in corso.
Ho perciò dovuto spiegare all’Extraterrestre come il prelievo in questione assuma quale presupposto l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata e diretta alla produzione o allo scambio di beni e di servizi e pure la circostanza che manchi – nella nostra legislazione tributaria – una definizione del concetto di “autonoma organizzazione”: circostanza questa che ha prodotto, negli anni, un cospicuo contenzioso, ulteriormente aggravato dalle prescrizioni introdotte attraverso circolari dell’Agenzia delle Entrate sulla cui capacità di produrre danni erariali le procure regionali della Corte dei conti continuano a ben guardarsi dall’ investigare.
Sembrava dunque che il Parlamento avesse deciso di risolvere la questione non solamente per assicurare la parità di trattamento fra contribuenti che esercitano le medesime attività, ma anche per cancellare le migliaia di ricorsi ancora pendenti in questa materia, ma così non è stato perché il Ministero dell’Economia ha ritenuto di dover continuare a valutare, caso per caso, chi colpire e chi esentare da questa discutibile imposta, seguitando così ad impiegare (sostanzialmente a vuoto) risorse umane e finanziarie nella coltivazione dei relativi contenziosi.
Già questa non è una buona notizia; poiché però le cattive notizie non arrivano mai sole, ecco che un’altra se ne profila già all’orizzonte: quella delle incertezze che deriveranno dalla riapertura dei termini di pagamento per i soggetti che non sono riusciti a rispettare le scadenze originariamente previste per la rottamazione – più volte introdotta dal legislatore – delle cartelle esattoriali.
Infatti – sebbene con un emendamento approvato in sede di conversione del decreto legge n. 4/2022 (meglio conosciuto come “Sostegni ter”) si rimettano in termini tutti i debitori decaduti dalla definizione dei carichi già affidati all’agente della riscossione – questo potrebbe comunque non risolvere nella sua globalità il problema del ripristino dell’originario debito, a cui andrebbero ad aggiungersi sanzioni e interessi di mora.
L’emendamento approvato non è, purtroppo, un capolavoro di chiarezza a proposito del destino cui andranno incontro le ulteriori cartelle esattoriali notificate successivamente alla scadenza dei termini per aderire alla rottamazione.
In un Paese normale sarebbe sufficiente una circolare dell’Agenzia delle Entrate che spiegasse, a chi è incaricato di riscuotere le relative somme, che dovranno essere accettate anche le domande di rottamazione eventualmente presentate per tale ultima specie di cartelle; ma quanto accaduto a proposito dell’Irap ci fa dubitare che una soluzione così di buon senso possa essere effettivamente adottata senza necessità di generare ulteriore contenzioso di fronte alle Commissioni Tributarie.
E’ bastato dir questo, per sentirmi domandare da Kurt sei il mio dubbio potesse essere, o meno, considerato “amletico” in senso shakespeariano.
Gli ho risposto che la domanda, pur suggestiva, era mal posta; perché qui non c’è da chiedersi se “essere o non essere”, quanto piuttosto se “avere o non avere”: per il portafoglio dei contribuenti da una parte e per il Fisco dall’altra.
Perdere infatti quest’ultima occasione di completare il percorso della pace fiscale a suo tempo iniziato, potrebbe diventare un problema per tutte le parti in causa.
Ma Chi vivrà, vedrà!