Mi sono sempre chiesta come fosse possibile mantenere l’equilibrio dell’armonia; perché non durasse soltanto un attimo: come non sciupare un momento di felicità e serbarlo il più a lungo possibile, fino a nutrirmene quasi – e conservare quella sensazione, quel ricordo netto e nitido per il futuro: per quando ne avessi avuto nostalgia, nel bisogno. Ho attuato quindi una sorta di perfezionamento degli intenti e delle azioni: una fenomenologia dell’agire e del pensare che potesse mantenere in un certo senso uno stato di grazia, anche qualora questo non ci fosse più stato.
La felicità di Adriano
Proprio come Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar: “In quell’epoca, nel consolidare la mia felicità, nell’assaporarla, nel valutarla persino, ponevo l’attenzione costante che ho sempre prestata ai particolari più futili delle mie azioni; e che cos’è la voluttà se non un momento di attenzione appassionata del corpo?” Questo, a sottolineare l’importanza del momento: della perfezione racchiusa nell’attenzione costante che si fa alla propria felicità. Infatti, continua: “Qualsiasi felicità è un capolavoro: il minimo errore la falsa, la minima esitazione la incrina, la minima grossolanità la deturpa, la minima insulsaggine la degrada” nella sua delicatezza che è pari alla prorompenza della sua forza.
La saggezza dell’istinto
Alla mia (felicità)” si confida Adriano con il giovane Marco Aurelio “non può imputarsi alcuna di quelle imprudenze che più tardi l’hanno infranta: sino a che ho agito nella direzione ch’essa mi indicava, sono stato saggio”. Poiché è proprio il richiamo istintivo alla gioia, alla vita che fa la felicità; seguirla ciecamente si rende per la Yourcenar, quasi una scelta intellettuale radicata nell’impulso anziché nella ragione. Creare la propria felicità significa perciò seguire le sue indicazioni desiderandola ardentemente e divenire pertanto saggi artefici di un armonico disegno – pur mettendo da parte la logica e la razionalizzazione di quel desiderio? E plasmarsi nel desiderio di felicità, significa dunque averlo desiderarlo abbastanza? Come per Kafka: “Quando crediamo con forza a qualcosa che ancora non esiste, la creiamo” perché “l’inesistente è tutto quello che non abbiamo desiderato abbastanza”