lunedì, 16 Dicembre, 2024
Cronache marziane

Kurt sul pianeta giustizia

Le sorprese non finiscono mai!

Chi avrebbe potuto immaginare che il Marziano fosse anche un appassionato delle cronache giudiziarie e non solo di quelle afferenti i fatti di malavita, ma anche delle storie raccontate nelle sentenze civili, amministrative e financo contabili che occupano la mia scrivania.

Così sono rimasto un po’ perplesso vedendo il Marziano intento nella lettura del fascicolo nel quale conservo le decisioni giudiziarie degne di maggior attenzione per la mia attività di pubblicista: non le più importanti, ma almeno quelle che rappresentano, più di altre, il degrado nel quale è caduta l’arte del decidere da parte dei nostri giudici, di ogni ordine e grado.

È un materiale che – per le peculiarità che lo contraddistinguono – potrebbe interessare, prima ancora che un giurista, un cultore della fantascienza.

Prendo degli esempi a caso, cominciando dal basso.

C’è la decisione di un giudice di pace che rimprovera all’attore un eccesso di cultura giuridica nel contestare la sanzione irrogatagli da un agente della polizia municipale che aveva candidamente verbalizzato – pur in assenza di qualunque segnaletica che proibisse un simile comportamento – come il malcapitato avesse attraversato in automobile un’inesistente isola pedonale nel centro di Roma (in pratica, conoscere bene il diritto della circolazione stradale sarebbe una colpa da sanzionare prima ancora di quella che deriva da un’infrazione – obiettivamente inesistente – del vigente Codice della Strada); a seguire una sentenza di Tribunale Civile che dichiara inammissibile una domanda di convalida dello sfratto avanzata nei confronti di un Tale che pretenderebbe di occupare spazi in uno studio legale pur in assenza di qualunque titolo che ne legittimi l’occupazione (dove l’occupante abusivo è addirittura un avvocato, o sedicente tale); ancora sul piano civilistico, c’è la reiezione di una domanda di risarcimento del danno –  avanzata nei confronti del Ministero della Giustizia – per comportamenti straripatori di un Pubblico Ministero che aveva sequestrato una cava al solo fine di costringere il proprietario del suolo ad alienarla a persona a Lui più gradita; c’è la reprimenda di un Giudice Contabile nei confronti di un Avvocato per aver Quest’ultimo domandato l’applicazione dell’articolo 6 (diritto ad un processo “giusto”) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che attribuisce ad ogni incolpato la facoltà di presenziare all’udienza nella quale si discute della propria colpa e c’è il caso – risolto negativamente in Cassazione – del giudice che aveva domandato la riammissione in servizio, lamentando che il passaggio dalla sospensione obbligatoria a quella facoltativa (avvenuta quasi un decennio prima) non fosse stato oggetto di autonomo procedimento disciplinare.

Potrei continuare a lungo, ma mi fermo qui: tanto dovrebbe infatti bastare per convincere il lettore che almeno gli episodi appena riferiti sarebbero difficilmente accaduti ove i giudici che hanno assunto tali abnormi decisioni fossero stati perseguibili – al pari di ogni altro cittadino, soprattutto ove esercente una pubblica funzione – in base alle disposizioni dell’articolo 2043 del Codice Civile a termini del quale “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”

È fin troppo ovvio come la responsabilità della crisi della giustizia italiana non sia ascrivibile solamente al potere giudiziario, ma prima ancora debba essere ricercata nelle scelte politiche adottate dal Parlamento che – unico fra i legislatori europei – si è erroneamente ritenuto vincolato ad una applicazione dell’articolo 101 della Costituzione (“I giudici sono soggetti soltanto alla legge”), prima accettando l’idea che la legge  non possa mai punire i giudici e poi sussumendo nel concetto di “autorità giudiziaria” sia gli inquisitori che i giudicanti.

Ma poiché neanche l’ultimo progetto di riforma tenta di rimuovere questo errore prospettico, non v’è possibilità diversa da quella di appellarsi alla volontà popolare per abrogare le leggi sulle quali un simile abominio si impernia.

È stato dunque fin troppo facile, per me, rispondere con un “sì” alla domanda rivoltami da Kurt a proposito della scelta da compiere a proposito dell’ultima iniziativa referendaria in questa materia.

Non ho invece voluto spiegare allo stesso Kurt come mai sia ora necessario ripetere una consultazione referendaria che già qualche decennio addietro si era espressa in favore della responsabilizzazione dei titolari di funzioni giudiziarie.

Per farlo, mi sarei infatti dovuto spingere in una critica della classe politica che ci ha governato negli ultimi decenni di proporzioni tali da fargli credere che la dialettica di questi anni – sviluppatasi fra magistratura, governo e parlamento – sia stata più apparente che reale.

In tutta sincerità, mi sono vergognato di esternare una simile conclusione perfino ad un marziano!

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