mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Il Cittadino

Il DDL Zan e gli uomini di buona volontà

Grazie anche alla polemica del Primo Maggio 2021 sulla pretesa censura preventiva della RAI al cantante Fedez, l’approvazione al Senato del disegno di legge Zan (dal nome del parlamentare PD che l’ha proposta) è al centro del dibattito politico e culturale italiano.

Il tema è scottante ed io non ho idee al proposito.

TOLLERANZA E RISPETTO REGOLA CIVILE

Sono stato educato alla tolleranza ed al rispetto. Reputo tutti gli uomini uguali, senza nessuna distinzione di sesso, pur riconoscendo una leggera superiorità al genere femminile.

Ho sempre creduto che l’art. 3 della Costituzione, stabilendo che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», tutelasse ogni possibile minoranza e diversità. Dovendo ammettere che già parlare di “minoranza” e di “diversità” riflette un atteggiamento che potrebbe essere culturalmente criticato.

La mia personale condizione di tolleranza, di rispetto verso il prossimo non mi indurrebbe mai a pensare alla necessità di una legge per una tutela ovvia e che è già nelle regole del vivere civile e nei valori quasi unanimemente condivisi. Sempre dal mio punto di vista personale sono convinto che stabilire delle pene anche severe per punire un determinato comportamento non elimina il fenomeno. Neppure la ghigliottina per i borseggiatori fermò i voleur, nemmeno nella piazza in cui stavano giustiziando un loro collega.

Sul tema del ddl Zan ho letto il testo e alcuni (non molti) commenti.

 

NON LASCIARE AL GIUDICE L’INTERPRETAZIONE DEL REATO

Il testo mi lascia perplesso, laddove disegna un ennesimo reato dai contorni vaghi, lasciato alla interpretazione del giudice. Ciò che è un’aberrazione, prima ancora che un errore.

È necessario che ogni reato sia precisamente descritto e che il cittadino sappia esattamente quando ha infranto la legge: non che sia un giudice, a posteriore, a stabilire se un comportamento fosse reato o fosse lecito.

Ne approfitto, qui, per ribadire una convinzione più volte da me espressa: non serve lamentarsi dei giudici; questi applicano le leggi che il legislatore – cioè i politici – hanno promulgato. Se si tiene in carcere preventivo una persona per un tempo enorme (che in Italia può essere maggiore dei due anni di durata massima del carcere preventivo in Egitto), non è colpa del giudice, ma della legge che lo consente.

Ho ammesso gravi problemi generazionali e mi iscrivo da subito ai vecchisti (se non esistono, li fondo ora), confessando una mia ignoranza e disinformazione sul tema.

Non conoscevo il cantante Fedez, ma ancora oggi non saprei associarlo ad alcuna canzone (forse perché inesorabilmente “legato ad un granello di sabbia” degli anni sessanta).

 

EVIDENTI ESAGERAZIONI

Per capire cosa significasse che l’On. Alessandro Zan fosse un esponente del LGBT – come dicono le sue biografie prima ancora di citare la sua appartenenza al PD – ho dovuto consultare internet.

Cercando di approfondire l’argomento del ddl Zan – l’età non mi toglie certe curiosità – mi sono imbattuto nell’espressione “abilismo”, che non conoscevo. Il dizionario Treccani spiega: «atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità».

Sull’abilismo intravedo molti pericoli concreti; molto più di quelli legati alle altre categorie che le legge intende tutelare ed una maggiore necessità di specificare il reato.

Mi auguro solo che il legislatore abbia il buon senso – ma non lo credo – di specificare chiaramente quale sia in questi casi il reato, perché ho letto che anche l’utilizzo del bagno per disabili da parte di una persona che non lo sia, costituirebbe una discriminazione.

Forse mi sono imbattuto in una esagerazione, nel paradosso di qualche commentatore di parte. Non lo so. So per certo che la precisione del legislatore, quando si introduce un reato, deve essere chirurgica: salvo che non si voglia accettare, anche nell’accertamento dei comportamenti penalmente rilevanti, il principio che già regola in genere il rapporto tra il nostro Stato e il cittadino: tutto è vietato, tutto è tollerato, fino a quando non ci sia un interesse specifico per applicare la legge nei confronti del malcapitato.

 

DUBBI E PERPLESSITA’

L’unico commento che mi ha veramente colpito – tra quelli da me letti, per lo più legati a preconcetti pro e contro – è un magnifico intervento di Luca Ricolfi, Il politicamente corretto che offusca la visuale (su Il Messaggero di sabato 8 maggio 2021), un articolo che avrei voluto avere la cultura, l’intelligenza e la capacità di scrivere io.

Non tento di riassumerlo, ne riporto solo un passo.

Esaminando il contesto sociale in cui nasce l’esigenza di quel ddl, Ricolfi spiega: «L’aspetto interessante di questo fenomeno è che mescola e confonde fragilità incontrovertibili (ad esempio i disabili o comunque vogliate chiamarli), fragilità connesse a pregiudizi (ad esempio gli omosessuali), fragilità per così dire naturali (ad esempio gli introversi) e infine fragilità indotte dalla deriva vittimistica in atto nella maggior parte dei paesi occidentali. Lo zenit di tale deriva è la pretesa dei singoli (ad esempio gli studenti di un campus) di essere chiamati con articoli e desinenze appropriate (he, she, ze) e, ancora più demenziale, l’’obbligo di avvertire i loro studenti che potrebbero essere turbati da opinioni contrarie alla propria, o da passi scabrosi, offensivi, o politicamente scorretti di opere classiche: la Divina Commedia, il libro Cuore, Biancaneve, la mitologia greca».

La domanda che, in conclusione, mi sorge spontanea è se sia corretto augurare la Pace in terra agli uomini di buona volontà, o se in prospettiva le nostre leggi (e non solo il politicamente corretto) imporranno una lunga nomenclatura di tutte le possibili diversità umane: naturalmente confidando che gli animalisti non protestino per l’esclusione di altri essere viventi e che il sistema nervoso del mondo vegetale regga.

 

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