Ormai appare evidente come nella maggioranza di governo sia in atto una guerra fra rigoristi e moderati circa le misure da adottare per fronteggiare l’emergenza Covid.
Da una parte la “linea dura” incarnata in special modo dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini e da quello della Salute Roberto Speranza convinti che serva un nuovo lockdown per fermare l’avanzata dei contagi, dall’altra la “linea morbida” sostenuta dai ministri di Italia Viva e dal titolare dello Sport, il grillino Vincenzo Spadafora, critici con le misure contenute nell’ultimo Dpcm. E con i partiti che inevitabilmente hanno finito con azzuffarsi.
Di fronte alle proteste di piazza che stanno montando in tutta Italia e al malcontento dei cittadini che cresce ogni giorno di più, il Partito democratico non ci sta a prendersi la responsabilità di difendere il governo sulle chiusure e ad interpretare la parte del “cattivo”. Zingaretti ha richiamato gli alleati all’ordine, condannando chi, come Italia Viva e parte del M5S, ha criticato le misure contenute nell’ultimo Dpcm, quasi facendo passare il messaggio che a volere la chiusura di ristoranti, bar, palestre, piscine ecc. siano stati Conte e i ministri dem. Ma al Nazareno è anche molto forte il malcontento verso il premier.
Italia Viva da parte sua insiste nel chiedere di rivedere gli ultimi provvedimenti, proprio mentre gli esperti e consulenti governativi, giudicano quelle stesse misure poco efficaci e consigliano nuove e più pesanti restrizioni.
Il fatto è che il clima non è più quello di marzo, quando gli italiani hanno fatto squadra, sostenendo le politiche di Conte e accettando i sacrifici imposrti, con la speranza di tornare il prima possibile alla normalità. Oggi il clima di unità nazionale, l’inno di Mameli cantato sui balconi, gli striscioni con scritto “Andrà tutto bene”, hanno ceduto il passo alle manifestazioni di piazza, con le persone per nulla intenzionate a chiudersi nuovamente in casa o ad aspettare gli aiuti del governo che molti vedono come una chimera. E se a marzo le restrizioni avevano riguardato più o meno tutti i settori, tutte le categorie, adesso ci si chiede perché ad essere penalizzati sono soltanto ristoratori, esercenti di bar, titolari di strutture sportive, il mondo del cinema, del teatro ecc.
Di fronte ad un clima del genere, con l’opposizione pronta a soffiare sul fuoco delle proteste (anche se va detto che le piazze non hanno accolto affatto bene Salvini che si è presentato a cercare consenso cavalcando la rabbia) nella maggioranza è impossibile pretendere una condivisione su scelte destinate a dividere il Paese e a scatenare la tensione sociale. E nessuno intende lasciare la protesta nelle mani degli altri.
A Giuseppe Conte non è rimasto che fare la voce grossa e puntare i piedi, rispedendo al mittente le richieste di modifica del Dpcm avanzate dai renziani. Ma pare deciso ad anticipare quella verifica di governo che si sarebbe dovuta tenere dopo gli Stati generali del M5S.
Anche perché oggi Conte si trova praticamente solo. Come riporta Huffpost “anche chi, come il Pd, è stato sponsor del premier, non lo è più. Lo accusa di mancanza di chiarezza. Il premier prova a reagire, e senza fare nomi e cognomi, mette in guardia gli azionisti di maggioranza dall’utilizzare la polemica politica come strumento per raccattare qualche punto percentuale in più nei sondaggi. Il Pd, innanzitutto, chiede più coraggio nelle decisioni e, con ancora più veemenza, un tagliando almeno programmatico”.
E il M5S è talmente diviso e lacerato al proprio interno da non potersi permettere di fare da scudo al premier, visto che i grillini devono faticare non poco per difendere un ministro come l’Azzolina sempre di più nell’occhio del ciclone per la disorganizzazione scolastica e la didattica a distanza. Al punto da dover spostare il tiro sui Trasporti di competenza della dem Paola de Micheli.
Insomma una guerra da “tutti contro tutti” per la propria sopravvivenza elettorale, messa in discussione dalla rabbia che cresce nel Paese, da nord a sud senza sconti per nessuno.
(Lo_Speciale)