L’evasione fiscale e contributiva continua a rappresentare uno dei principali nodi irrisolti dell’economia italiana, anche se i progressi degli ultimi anni sono tangibili. Dal 2017 al 2021 il tax gap complessivo, ossia la differenza tra quanto lo Stato dovrebbe incassare e quanto effettivamente entra nelle casse pubbliche, si è ridotto di circa 25 miliardi di euro. A certificarlo è stata la Banca d’Italia, attraverso la relazione di Giacomo Ricotti, capo del Servizio Assistenza e consulenza fiscale, nel corso di un’audizione alla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria.
Nel 2021, ultimo anno per cui i dati sono consolidati, l’evasione fiscale è stimata a 72,6 miliardi, che diventano oltre 82 miliardi se si includono anche i contributi previdenziali. Si tratta di una cifra enorme che equivale a circa il 4% del Pil nazionale e che incide profondamente sulle possibilità di spesa dello Stato, limitando risorse per welfare, investimenti pubblici e riduzione del debito.
Ricotti ha sottolineato come l’evasione si concentri in alcuni ambiti specifici: il divario più ampio riguarda l’Irpef sui redditi da lavoro autonomo e d’impresa, con quasi 30 miliardi di mancate entrate. Seguono il gap Iva, stimato in 17,8 miliardi, e quello sull’Ires, l’imposta sui redditi delle società, con circa 8 miliardi. Altri settori significativi sono l’Imu-Tasi (oltre 5 miliardi), l’Irap (4,7 miliardi) e le irregolarità legate al lavoro dipendente (circa 4 miliardi).
I progressi
Secondo Bankitalia, la riduzione di 25 miliardi in quattro anni è stata resa possibile grazie a una serie di innovazioni tecnologiche e normative che hanno reso più difficile sottrarsi al fisco. Tra queste, la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, insieme alla maggiore tracciabilità dei pagamenti, hanno inciso in particolare sul gap Iva, che si è dimezzato tra il 2017 e il 2021. Importante anche il rafforzamento del Sistema informativo della fiscalità, che consente oggi un incrocio molto più ampio e immediato dei dati a disposizione dell’amministrazione finanziaria. Proprio la digitalizzazione è stata indicata da Ricotti come il principale strumento di prevenzione e contrasto, in grado di ridurre l’evasione senza aumentare gli oneri burocratici per le imprese.
Il fenomeno dell’evasione, ha ricordato Bankitalia, non si traduce solo in un mancato gettito per l’erario. Ha effetti sistemici negativi: penalizza chi paga regolarmente le tasse, produce concorrenza sleale tra le imprese, scoraggia l’emersione del lavoro nero e ostacola la possibilità di programmare politiche pubbliche di lungo periodo. In altre parole, è un freno diretto a investimenti, crescita e innovazione
AI e tutela dei dati
“Ridurre l’evasione”, ha osservato Ricotti, “significa rafforzare l’equità e sostenere lo sviluppo economico. Non si tratta di una questione tecnica, ma di un tema che riguarda la giustizia sociale e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni”. Guardando al futuro, Ricotti ha segnalato la necessità di sfruttare le nuove tecnologie per migliorare i controlli, citando l’uso dell’intelligenza artificiale e l’interoperabilità sempre più spinta delle banche dati fiscali, già prevista dal Pnrr e dalla delega fiscale.
Resta però il nodo della privacy: più potere ai sistemi digitali significa anche più responsabilità nel gestire dati sensibili dei contribuenti. “Il bilanciamento tra efficienza dei controlli e tutela della privacy è una scelta politica. Ma i progressi fatti finora dimostrano che il contrasto all’evasione è possibile e produce risultati concreti”.