Per la sesta volta dall’inizio del conflitto, gli Stati Uniti hanno posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un cessate il fuoco immediato e permanente nella Striscia di Gaza. Il testo, sostenuto da tutti gli altri 14 membri del Consiglio, sollecitava anche il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas e la rimozione delle restrizioni agli aiuti umanitari. La rappresentante americana Morgan Ortagus ha motivato il veto definendo la bozza “non sufficientemente vincolante” nel condannare Hamas e “pericolosamente ambigua” nel riconoscere il diritto di Israele alla difesa. “Non possiamo accettare una risoluzione che equipari uno Stato sovrano a un’organizzazione terroristica,” ha dichiarato Ortagus, ribadendo la posizione dell’amministrazione Trump. La decisione ha suscitato forti reazioni internazionali. L’ambasciatore palestinese all’ONU, Riyad Mansour, ha definito il veto “profondamente deplorevole e doloroso”, accusando Washington di impedire al Consiglio di “svolgere il suo legittimo ruolo di fronte a queste atrocità”. Anche la Cina ha espresso delusione, chiedendo “quante vite ancora devono andare perse prima che si agisca”. Nel frattempo, la situazione umanitaria a Gaza continua a peggiorare. Secondo l’agenzia palestinese Wafa, i raid israeliani hanno causato oltre 65.000 morti e più di 165.000 feriti dall’inizio delle operazioni. Le Nazioni Unite parlano di una crisi “catastrofica”, con oltre un milione di sfollati e gravi carenze di acqua, cibo e cure mediche. Il veto americano conferma l’isolamento diplomatico di Washington all’interno del Consiglio di Sicurezza, dove anche alleati storici come Francia e Regno Unito hanno votato a favore della risoluzione. Mentre la guerra prosegue e le vittime aumentano, la diplomazia internazionale sembra ancora una volta impotente di fronte alla macchina del conflitto.