La difesa comune dellʼEuropa non è più unʼopzione, ma una necessità imprescindibile per garantire la sicurezza del continente e ottimizzare gli investimenti nelle tecnologie del futuro. Questo il messaggio chiaro e inequivocabile lanciato da Mario Draghi, ex Premier ed ex Presidente della Bce, ieri nel corso di unʼaudizione in Senato dedicata al rapporto sulla competitività europea.
Attualmente, ha spiegato Draghi, la valutazione degli investimenti in difesa si basa quasi esclusivamente sul calcolo delle spese militari tradizionali. Ma il mondo della sicurezza sta cambiando rapidamente e richiede un approccio più ampio: i fondi destinati a difesa devono includere investimenti nel digitale, nello spazio e nella cyber security. La protezione dalle minacce emergenti, sempre più legate alla tecnologia, impone un cambio di paradigma.
Per far fronte a queste sfide, ha aggiunto Draghi, lʼEuropa deve superare i modelli nazionali e adottare una strategia continentale. Questo significa una maggiore integrazione dei sistemi di difesa tra gli Stati membri, con un coordinamento superiore capace di armonizzare eserciti differenti per lingua, metodi e armamenti. Ha quindi sottolineato lʼimportanza di creare sinergie industriali a livello europeo, sviluppando piattaforme militari comuni per aerei, navi, mezzi terrestri e satelliti, al fine di ridurre sovrapposizioni e dispersione di risorse.
Il nodo del debito comune
Un altro tema centrale sollevato da Draghi riguarda il finanziamento della difesa comune. Gli spazi di bilancio ristretti rendono difficile per molti paesi espandere il deficit, mentre una riduzione della spesa sociale non è percorribile per ragioni politiche e di coesione sociale. Lʼunica strada praticabile, secondo lʼex Primo Ministro, è il ricorso al debito comune europeo, già sperimentato con successo con il Recovery Fund. UnʼEuropa più forte e competitiva sul piano globale non può prescindere da un rafforzamento della propria autonomia strategica. Attualmente, i paesi europei spendono somme ingenti per la difesa, ma gran parte delle piattaforme militari viene acquistata dagli Stati Uniti. Tra il 2020 e il 2024, il 65% delle importazioni di sistemi di difesa dei paesi Nato europei proveniva dagli Usa. Se lʼEuropa decidesse di sviluppare la propria industria della difesa, il ritorno economico e industriale sarebbe significativo.
L’Intelligenza Artificiale
Oltre alla difesa, il rapporto Draghi evidenzia un altro tema critico: il ritardo europeo nello sviluppo dellʼIntelligenza Artificiale. Lʼex Presidente della Bce ha lanciato un monito chiaro: lʼEuropa sta perdendo terreno in un settore strategico. Otto dei dieci principali modelli di intelligenza artificiale a livello globale sono sviluppati negli Stati Uniti, mentre i restanti due provengono dalla Cina. In questo contesto, l’Europa fatica a ritagliarsi uno spazio competitivo e il gap con i leader mondiali appare sempre più difficile da colmare. Draghi ha sottolineato come l’AI stia diventando sempre più efficiente e in grado di superare le capacità umane in numerosi ambiti. LʼEuropa deve quindi agire con decisione, incentivando gli investimenti e creando un ambiente normativo favorevole allo sviluppo dellʼinnovazione tecnologica.
Energia e competitività

Un ulteriore ostacolo alla competitività europea è rappresentato dallʼalto costo dell’energia. Draghi ha evidenziato come i prezzi elevati penalizzino le imprese europee, mettendole in svantaggio rispetto ai concorrenti internazionali. Il costo dell’energia è un problema strutturale che incide non solo sulla sopravvivenza dei settori industriali tradizionali, ma anche sulle prospettive di sviluppo delle nuove tecnologie ad alto consumo energetico, come i data center.
Per affrontare questa sfida, secondo Draghi, lʼUnione europea deve sfruttare il proprio potere d’acquisto, coordinando meglio la domanda di gas tra i vari Stati membri. Inoltre, occorre accelerare lo sviluppo delle fonti rinnovabili e investire nelle reti di distribuzione energetica, disaccoppiando il prezzo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili e nucleari da quello dei combustibili fossili.
La regolamentazione eccessiva penalizza l’innovazione
Un altro punto critico evidenziato da Draghi riguarda la regolamentazione dell’Ue, che negli ultimi 25 anni è cresciuta in modo esponenziale, arrivando a ostacolare l’innovazione e la crescita economica. Il settore Hi-Tech europeo, in particolare, è soffocato da un eccesso di norme: vi sono oltre 100 leggi specifiche e 200 enti regolatori diversi nei vari Stati membri. Non si tratta, ha precisato Draghi, di promuovere una deregolamentazione selvaggia, ma di ridurre la frammentazione normativa per rendere più semplice e competitivo il panorama economico europeo.
Infine, per avanzare insieme verso una maggiore integrazione, Draghi ha sottolineato l’importanza di superare il principio dell’unanimità in alcune decisioni chiave, in particolare in ambiti come la difesa: “Lʼidea di soluzioni bilaterali è quella che vogliono i nemici dellʼUnione europea, ma non è nellʼinteresse dell’Europa. Se si sta insieme si ha più potere contrattuale rispetto a stare da soli ”, ha affermato Draghi, evidenziando la necessità di adottare un sistema decisionale più agile, basato sulla maggioranza qualificata.