giovedì, 19 Dicembre, 2024
Società

Prostituzione, tutela della salute e della incolumità di chi la esercita

I recenti fatti di cronaca portano alla luce aspetti del problema che la Legge Merlin non aveva considerato

La legge Merlin impose la chiusura delle case di tolleranza. Era il lontano 1958 e il Parlamento, quasi al termine della seconda legislatura (25 giugno 1953 – 14 marzo 1958) dava vita alla legge n. 75 del 20 febbraio avente per oggetto “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”.

Venne definita una conquista sociale e di civiltà perché in effetti voleva sottrarre  la donna allo sfruttamento.
La legge Merlin, dal nome della promotrice sen. Lina Merlin, si prefiggeva di difendere la libertà personale di chi si prostituisce.

Essa abolì la regolamentazione della prostituzione, chiudendo le così dette “case di tolleranza” e introducendo i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, contemplando una serie di ipotesi delittuose specificatamente indicate nella norma.

In sostanza venne disposta la chiusura delle case, dei quartieri e di qualsiasi altro luogo chiuso, dove si esercitava abitualmente la prostituzione che l’autorità di pubblica sicurezza, ai sensi dell’articolo 190 del TULP (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) , a richiesta dell’esercente o d’ufficio, aveva dichiarato locali di meretricio.  Il “Titolo VII DEL MERETRICIO” ed i relativi articoli dal 190 al 208 vennero interamente soppressi a seguito della legge Merlin che, in concreto, non rese illecita la prostituzione, tranne che con le modalità e nei casi per i quali essa prevede fattispecie sanzionatorie.

Inoltre nell’articolo 7 della legge Merlin è detto espressamente che: “Le autorità di pubblica sicurezza, le autorità sanitarie e qualsiasi altra autorità amministrativa non possono procedere ad alcuna forma diretta od indiretta di registrazione, neanche mediante rilascio di tessere sanitarie, di donne che esercitano o siano sospettate di esercitare la prostituzione, né obbligarle a presentarsi periodicamente ai loro uffici. È del pari vietato di munire dette donne di documenti speciali”.

Erano tutte prescrizioni fino a quella data imposte dalle norme abrogate, per garantire reciproca sicurezza fisica, morale e di salute a prostituite e loro frequentatori, oltre al pagamento delle imposte dirette ed indirette, quest’ultima all’epoca consistente nell’imposta generale sull’entrata (i.g.e.) per gli esercenti.

La norma  aveva come obiettivo, come emerge dalle deleghe al Ministero dell’interno, la fondazione di speciali istituti di patronato per provvedere alla tutela, all’assistenza e alla rieducazione delle donne uscite dalle case di prostituzione. Dalle disposizioni finali e transitorie, si rileva, altresì, la volontà di debellare la prostituzione alla radice, anche con la costituzione di un Corpo speciale femminile per le funzioni inerenti ai servizi del buon costume e della prevenzione della delinquenza minorile e della prostituzione.

Alcune correnti di pensiero considerano la prostituzione la “professione più antica del mondo” che viene intrapresa per i motivi più disparati. I rischi di questa professione sono tanti: di tipo sanitario e attinenti alla incolumità fisica di chi la esercita, come i recenti fatti di cronaca romana ci raccontano.

Cercare di debellare tale fenomeno, sulla base delle esperienze pregresse e delle evoluzioni dei costumi sociali, sarebbe tempo perso, ma tutelare la salute e l’incolumità fisica delle figure direttamente interessate è dovere delle Istituzioni.

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