Sono stordita dal niente che mi circonda, per dirla con Leopardi; o Sono circondato da un branco di idioti, per dirla con Scar, l’antagonista de “Il re leone”. Anzi, da asini sapienti: da tutti quei secchioni senza cervello che come a scuola pretendevano il 10 per aver ripetuto la lezioncina o per essersi arruffianati il professore, adesso pretendono di salire ai vertici delle cariche pubbliche perché non fanno errori ortografici o perché abilmente asserviti al padrone della loro conventicola. Non voglio difendere i somari – nel lessico collodiano – bensì tutelare quelli bravi veramente: i capaci, i meritevoli, quelli ben oltre i secchioni, che sono sempre stati solo somari travestiti e più ambiziosi, dunque due facce della stessa medaglia.
NON CI SI ELEVA SCREDITANDO L’AVVERSARIO
Attenzione, lungi da me legittimare chi non conosce la grammatica: da parte mia sarebbe assai particolare se non sconsiderato, e per deformazione professionale e perché mi sono sempre orgogliosamente professata un’intransigente grammar nazi. Ma proprio in ragione di questo, dico che non ci si può elevare screditando il prossimo; se poi tutto quello che i delatori dell’errore ortografico di Fontana e della sua tragica “n” di impiegato sanno fare è scrivere un testo elementare senza errori. Per rendersi un po’ superiori alla situazione, bisogna dimostrarsi realmente diversi. E per essere diversi bisogna realizzarsi davvero in una qualche attitudine politica e pratica.
LA METAFORA DELLA SCUOLA COME NEL LAVORO
Altrimenti è inutile: il rischio è dare l’idea complessiva di una battaglia tra simili. Uno che non conosce la sintassi e la grammatica italiana e l’altro che lo accusa alla maestra, dimostrando la sua pochezza sostanziale nella comprensione e l’elaborazione di un testo; che sì, è la metafora della comprensione e l’elaborazione della vita pratica, della politica, del lavoro. Non è necessario accusare qualcuno che fa un errore di grammatica, perché solo il fatto di farlo notare – come se non bastasse e l’entità della cosa non fosse già abbastanza mastodontica di per sé – identifica l’accusatore come uno che non sa scrivere. Che non sa fare, che non sa pensare, che non sa argomentare, reagire. E potrei continuare all’infinito.
CHI SA FARE NON GUARDA QUELLO CHE FA L’ALTRO
Questo per dire una cosa ed una soltanto, su tutte: chi sa fare e soprattutto, nel caso specifico, chi sa fare opposizione non si attacca a tutto; non ridicolizza o sminuisce l’avversario né tramite argomenti di questo tipo né per mezzo di facezie d’infimo livello che trasudano invidia come quelle rivolte al Presidente del Consiglio Meloni: l’articolo determinativo maschile “il” che svilirebbe le femministe, il cambio da mocassini a tacchi per la cerimonia della campanella, il tailleur blu dal taglio “troppo maschile” per il giuramento. E ancora: “la donna che vede le donne un passo indietro agli uomini” rovesciando e distorcendo la realtà effettiva, e di parecchio. La regola fondamentale per non squalificarsi e non perdere in partenza è: imparare a non rosicare, mai. Piuttosto tacere, quando conviene.