lunedì, 16 Dicembre, 2024
Esteri

Il regno di Boris

Midlands. Esterno giorno. The day after. Questa mattina lo sguardo della cassiera è decisamente diverso. Il tono di voce, pure. Distaccato, depurato anche della nota cortesia british. Non mi era mai capitato in tutti questi anni. Non mi ha neanche salutato. Avrà mica votato Boris?

A pensar male, si sa, si fa peccato ma spesso ci si azzecca. Anche perché Johnson ha vinto, anzi, stravinto (364 seggi sui 326 richiesti per la maggioranza alla Camera dei Comuni) e adesso rappresenta le working class delle deprivate Midlands e del nord est operaio, aree in cui la crisi del 2008 ha colpito duramente, zone in cui, per esempio, le morti per overdose da eroina videro un’impennata improvvisa.

Come ha dichiarato un analista, Boris ha abbattuto la cortina rossa che parte proprio dalle Midlands e arriva su nel nord est passando per Manchester e Liverpool, recuperando quasi 60 seggi ai laburisti di Corbyn fermi a quota 203 con il peggior risultato dai primi anni 80.

La sua campagna è stata accorta a non sbavare. Il suo consulente australiano, per esempio, quello che ha coniato l’efficace slogan “Get Brexit Done”, ne ha limitato in ogni modo l’esposizione mediatica, soprattutto quella in TV. In aggiunta, la sua nuova compagna, first lady con un passato da direttore della comunicazione dei Tory, ha provato a mettere un po’ di ordine alla sua immagine pubblica, a partire da pettinatura e dieta: “No alcool fino alla fine della campagna”, aveva dichiarato Boris, lui che notoriamente era solito consumare una bottiglia a pasto, dice chi lo conosce bene.

Come che sia, la sua promessa elettorale è stata sartorializzata, cucita su misura, ovvero ha detto quello che la gente voleva sentirsi dire ai tempi della grande recessione. Se è vero che il declino economico ha infatti portato declino sociale, leggi criminalità, violenze domestiche, aumento di divorzi e di ragazze madri in giovane età, consumo di alcool e droghe e via dicendo lui promette tra le altre, insieme alla Brexit entro fine gennaio, tre cose che possono cambiare il destino. Bisognerà aspettare però la finanziaria di febbraio, per vedere e credere.

Primo: sicurezza, assumendo circa 20 mila poliziotti, promessa peraltro comune alle altre forze politiche, segno che il problema é fin troppo evidente, basti vedere il preoccupante fenomeno degli accoltellamenti a Londra.

Secondo: educazione, la quintessenza di ogni comunità prosperosa, l’unica porta d’accesso alle opportunità future. Intanto, lui viene dall’altissima borghesia in una società rigidamente divisa in classi e ha studiato lettere antiche a Oxford, per cui sa bene di cosa si parla. Tanto che il suo accento e la sua retorica sono diventati un fenomeno di massa in un’isola in cui anche questo concorre a determinare le fortune della vita. Esempio ne è l’esplosione di corsi di dizione, di “pulizia dell’accento” come vengono chiamati, tra i giovanissimi.

Terzo, infrastrutture, per collegare gli ex grandi centri industriali del Nord con la ricca Londra. Una mossa dal retrogusto populista certo, ma in puro stile keynesiano che mal si concilia con le posizioni ultraliberiste del gruppo parlamentare che fa riferimento al potente ERG, il think tank di estrema destra che di Boris ha finora concorso a determinarne le fortune politiche ma che ha in mente il no deal, l’uscita dall’Unione senza accordo. E qui veniamo al nodo principale. Anzi ai nodi. E sono due.

Da un lato c’è la visione politica di Boris, perfetta per il suo elettorato ma che mal si concilia con quella dell’ERG espressa da alcuni suoi parlamentari, peraltro vicinissimi a Johnson, che nel 2012 scrissero un libro, Britannia Unchained, che divenne il manifesto della destra ultraliberista. Per contro, la visione politica originaria di Boris è quella che passa sotto il nome di “One Nation Conservatism”, ovvero una posizione moderata, paternalistica, che propone il livellamento delle differenze sociali attraverso interventi di supporto come maggiore spesa pubblica, investimenti in infrastrutture e taglio delle tasse per i meno abbienti. Appunto.

E poi c’è la questione Brexit. Se è vero che Boris continua a ripetere alla nausea, per esempio l’ultima volta poche ore fa in chiusura della prima conferenza stampa post elezioni “Let’s get Brexit done, but first, my friends, let’s get breakfast done!” (tanto per offrire un assaggio, restando in tema, del suo carisma), dall’altro la piú grande incertezza è rappresentata proprio dal come realizzerà la Brexit, ovvero come raggiungerà un accordo commerciale con l’Unione Europea entro la fine di Dicembre 2020. Quindi, ancora il no-deal, caldeggiato dai tipi dell’ERG.

Sul se e come Boris riuscirà a limitarne l’influenza è presto per dire, ma di certo ha nel frattempo vinto la sua battaglia anche per altri due motivi.

Da esperto di cose classiche, ha applicato alla perfezione il divide et impera di latina memoria. Così riesce a ottenere un accordo con il Brexit Party di Nigel Farage, che verrà prima o poi ricompensato per questo, che lascia di fatto il campo libero ai tories ritirando centinaia di candidati dalla contesa elettorale e restando in campo laddove il seggio da contestare fosse stato laburista, andando quindi a scompigliare le carte nel giá poco unito fronte del Remain.

Questo, ed è il secondo motivo, non ha saputo offrire una vera alternativa, disperdendo milioni di voti. Se infatti da un lato Corbyn non è mai riuscito a fare sintesi politica (quindi giuste le sue dimissioni da leader di partito), dall’altro, Jo Swinson, la giovane neo-segretaria del partito liberal democratico, con una poco liberale promessa di revocare l’articolo 50 in caso di vittoria, ci ha rimesso la carriera politica, ovvero leadership di partito e seggio in parlamento. Commenta un elettore su twitter: “Non male cominciare una campagna elettorale annunciandosi come possibile primo ministro e concluderla come possibile parlamentare: un percorso interessante!”

A vincerlo, il suo seggio, è stata poi una candidata del partito nazionalista scozzese, unito più che mai nel richiedere la secessione e restare nell’Unione, ultimo baluardo di resistenza al Regno di Boris, gli ultimi braveheart di questa incredibile saga.

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