A Giorgia Meloni viene riconosciuta – perfino da un malinconico Letta, a denti stretti – il primato di essere la prima donna Presidente del Consiglio in Italia.
Non ha, però, il record di essere il premier più giovane.
Giorgia Meloni – mi scuserà la Signora .se con poco galanteria calcolo la sua età – è stata incaricata Presidente del Consiglio a 45 anni, 9 mesi e 4 giorni.
Più giovani, con riferimento alla Storia d’Italia dal 1860, Matteo Renzi che batte tutti, persino Mussolini: Renzi premier a 39 anni e 1 mese; il famigerato duce a 39 anni, 3 mesi e 2 giorni. Per la cronaca più giovani della Meloni anche Goria (43 anni, 11 mesi e 28 giorni) e Minghetti (44 anni, 4 mesi e 16 giorni).
Giorgia Meloni è anche la più giovane del suo Governo, quattro mesi in meno di Alessandra Locatelli, Ministra per la Disabilità, tra i tre Ministri, con Lollobrigida e Salvini, nati negli anni Settanta. Abbiamo poi 13 Ministri nati negli anni Sessanta, 7 negli anni Cinquanta e 2 (Nordio e la Casellati) negli anni Quaranta. Età media sessant’anni, che non è poca, ben più alta dell’età media dei cittadini italiani che dovranno governare (46,2 anni nel 2022, fonte Istat).
Ho annotato con puntigliosità questi dati anagrafici perché (mi è già capitato di dirlo) sono convinto che la differenza generazionale sia più forte e più incisiva di quella ideologica.
Da qui voglio partire per le mie considerazioni domenicali.
Perché, pur ritenendomi un liberal-socialista, non ho approvato il disprezzo sociale e culturale che la sinistra (sbagliando clamorosamente l’approccio propagandistico) ha cercato di indurre verso i cittadini che democraticamente avevano scelto e promettevano di votare Giorgia Meloni.
La mia posizione verso la stessa l’ho già spiegata in questa rubrica, aderendo all’analisi di Gianfranco Rotondi che, vede nella smisurata crescita di consensi verso FdI, il voto di moderati e popolari per un governo alternativo all’avventura grillina ed all’ambiguo disastro di un PD, da anni senza anima.
Giorgia Meloni credo che, proprio per motivi generazionali, non sia il diavolo che restaurerà il fascismo in Italia, un secolo (!) dopo.
Meloni è nata due anni dopo la riforma del diritto di famiglia (1975), un anno prima dell’introduzione dell’aborto (1978, legge n. 194), quattro anni prima dell’abolizione del delitto d’onore (1981). Leggi importantissime e fondamentali, veramente imposte da una società profondamente modificata: il legislatore, in quei casi, si è limitato a prendere atto di una evoluzione sociale già avvenuta e di regolarla legislativamente. Da allora – mi piacerebbe essere contraddetto – solo leggi che cercano di imporre un comportamento che nella società non esiste, ma che, soprattutto, burocratizzano e rendono controllabile dal potete ogni atto della vita.
Meloni, quindi, è cresciuta (in una metropoli) con principi e valori culturali ben differenti da quelli delle generazioni precedenti, degli anni 40 e 50 soprattutto. Perché una ragazza moderna, di un quartiere popolare romano, sia stata più attratta dalla destra che dalla sinistra è un problema che mi sarei già posto da tempo, se avessi avuto responsabilità partitiche.
Non sono notazioni da poco: credo che gli sviluppi sociali di questi ultimi dieci anni in particolare, impongano una forte riflessione ed il superamento – già avvenuto nelle generazioni più giovani – del tradizionale schema della ripartizione tra “destra e sinistra.
L’unico pericolo che vedo – e lo dico francamente – è costituito dalla forza che potrebbe derivare a frange di fanatismo che potrebbero sentirsi “coperte” da un governo di destra (così come, in altri tempi, altre espressioni di fanatismo si sentivano “coperte” dalla sinistra e da un potere sindacale predominante). Ma basterà non mostrare condiscendenza alle prime espressioni di estremismo.
Non posso che parlare da “orecchiante”, perché non ho studiato (ma lo farò e ne ridiscuteremo). Quindi come spesso faccio, mi limito ad enunciare il problema. La classe dei lavoratori è integrata e tutelata; emergono classi e categorie di persone “dimenticate” o “invisibili”, normalmente relegate in alcune degradate periferie: completamente, fuor di controllo, abbandonate dallo Stato e lasciate a sé stesse (una sensazione, consentitemi, ampiamente conosciuta nella mia gioventù, girando la Calabria degli anni ’60). Di differenze tra “centro” e “periferia” (e non di altri ceti sociali) parlano oggi le prime analisi dei possibili effetti del Green Deal europeo: applicabile perfettamente a Parigi, dove già oggi solo un quarto dei cittadini usa l’automobile; ma non nella gran parte della UE.
Ecco questo del Green Deal è un esempio di quella legislazione impositiva e burocratica che il mio spirito liberale (con quel pizzico di anarchia, che vivaddio, non mi ha mai abbandonato) rifiuta: la Ue vorrebbe imporci uno Stato Etico, un modello di vita, piatto ed omologo, derivante da una élite culturale, da ZTL integrata, direi, mutuando i rilievi di alcune analisi elettorali.
L’imposizione, col fascismo avviene con sanzioni e repressioni della disobbedienza; nei raffinati regimi burocratici, con l’esclusione (da finanziamenti, da concorsi, da accessi a servizi e benefici).
È una raffinatezza dei tempi d’oggi, un’evoluzione del “politically correct”, in qualche modo già sperimentata in Italia con la legislazione ad escludendum dell’ultima fase del Covid. Sono ultra vaccinato e portavo la mascherina quando prescritto, ma con visibile fastidio; ma ho sempre rispettato, accettato e personalmente non escluso chi disobbediva, guadagnandomi per questo il disprezzo dei più ortodossi seguaci delle regole governative.
Credo nella diversità: che è una ricchezza non solo nella natura (l’Italia primeggia per le sue bio diversità), ma anche nei comportamenti, nel pensiero e nei modelli umani e che mi auguro non vengano mai limitati. Da nessuno. Neppure per ragioni etiche. In altri regimi, ricordiamolo sempre, erano e sono etici comportamenti ai quali, invece, il cittadino ha il dovere di manifestare dissenso.