Le forze di sicurezza irachena hanno brutalmente colpito i manifestanti con una pioggia di gas lacrimogeni e proiettili sparati ad altezza uomo. Dall’inizio delle proteste ad ottobre le vittime sono state più di 319 e i feriti ammontano a circa 15.000. Il Paese è attraversato da una crescente ondata di protesta contro la disoccupazione, la corruzione dilagante e l’incapacità del governo di Baghdad di garantire alla popolazione l’accesso ai servizi essenziali. Le proteste nascono principalmente per la forte corruzione del governo e la sua inettitudine in generale, cresciute anche a causa dell’elevata disoccupazione giovanile e come reazione contraria alla crescente influenza iraniana in Iraq. Una simile situazione, non solo costituisce motivo di grande preoccupazione, ma soprattutto rischia di mettere a dura prova il governo del primo ministro Adel Abdul Mahdi. I manifestanti infatti chiedono le dimissioni del governo e le elezioni anticipate.
La scorsa settimana, i manifestanti hanno occupato tre ponti nel centro di Baghdad tenendoli come punti focali per far in modo che le manifestazioni si diffondessero in tutto il paese e si potessero intensificare, bloccando anche l’accesso al porto strategico di Umm Qasr. Il centro delle proteste e il punto di incontro dei manifestanti rimane Tahrir Square a Baghdad, sebbene le proteste si siano svolte anche a Najaf, Karbala, Hilla e Kut. Per attenuare le proteste, fondamentale è stato bloccare l’uso di Internet e l’accesso ai social media. Vietando ai civili l’accesso ad Internet il governo è riuscito a limitare gli strumenti che i manifestanti avrebbero potuto utilizzare per organizzare, coordinare e documentare la gamma di reati violenti. Il governo iracheno ha altresì istituito dei blocchi stradali e il coprifuoco in tutto il Paese nel tentativo di reprimere la libertà di movimento dei manifestanti stessi.
In tutto il sud dell’Iraq, incluso Bassora – roccaforte del potere politico per l’influente radicalismo religioso di Moqtada al-Sadr – le forze di sicurezza si sono scontrate con i manifestanti vicino agli edifici governativi. Anche la città di Karbala ha assistito a diversi scontri feroci tra manifestanti e forze di sicurezza. Il governo iracheno sta perseguendo un disegno rigido di repressione della rivolta popolare che ha portato all’arresto di centinaia di manifestanti con l’intento di intimidire i civili mettendo a tacere in qualche modo le proteste. Un’altra potenziale minaccia che incombe sullo sfondo è la crescente rinascita del cosiddetto “Stato Islamico”, che cerca in ogni modo di sfruttare i disordini attuali a proprio vantaggio, mentre i militanti lavorano per riorganizzarsi in seguito alla morte del loro leader Abu Bakr al-Baghdadi.
Nel fine settimana, nella Missione di assistenza in Iraq (United Nations Assistance Mission in Iraq – UNAMI) le Nazioni Unite si sono adoperate per mediare tra il governo e il popolo iracheno presentando una tabella di marcia che delinea una via d’uscita dall’attuale disordine politico e ha anche chiesto il rilascio di tutti i manifestanti detenuti. Nella proposta, l’UNAMI ha messo in evidenza una serie di iniziative anticorruzione e procedure di riforma elettorale. Ma ogni progresso dovrà essere unicamente iracheno per avere successo, con una vera condivisione del potere proveniente da alcune delle fazioni emarginate del Paese, come è accaduto con altri movimenti di protesta in tutto il mondo, tra cui il Sudan, l’Algeria,l’Egitto e il Libano. I progressi sono comunque lenti, con piccole concessioni del governo iracheno facilmente reversibili e soggette al rollback di strutture di potere radicate, dominate da élite politiche di lunga data.