Ho sempre ammirato e ho sempre – forse a torto – pensato di identificarmi nelle persone più fuori dal comune, estranee alle consuete dinamiche sociali e più sommessamente vicine a quella definizione assai estrema che ne diede Bukowski: “Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai. Quelli persi, andati, spiritati, fottuti. Quelli con l’anima in fiamme”. Ed è sbagliato presupporre che tutti quelli di cui sopra debbano essere individui sbandati o perduti secondo l’accezione comune del termine. Si può aderire ai canoni citati senza per questo sembrare diversi. E sono questi a mio parere i più diversi tutti: quelli che pur essendolo, sanno integrarsi completamente con l’ambiente ed il contesto sociale di cui in qualche modo si trovano a far parte – eppure mantengono interiormente la profondità della loro differenza spirituale.
DESIDERIO DI APPARTENENZA E NOSTALGIA DI SOLITUDINE
Quella stessa differenza che induce verso un desiderio di appartenenza ed al contempo nostalgia di solitudine: ch’è sostanza interiore di tutti i cosiddetti diversi. “A volte il mio desiderio di solitudine è così forte che perfino nell’aldilà mi vedo in cerca del deserto” scrisse Cioran tra i suoi trentaquattro quaderni dall’identica copertina – e affinché quella tensione verso la solitudine non si tramuti in abisso, occorre qualcuno o qualcosa che ce ne tiri fuori; molto spesso è la mano di un diverso come noi, di uno di quelli che grazie ad una particolare forma d’intelligenza, al mondo ci si è saputo adattare meglio di tutti gli altri diversi, che spesso invece di attraversarlo ne vengono attraversati.
MANTENERE L’EQUILIBRIO
Mantenere l’equilibrio tra l’abisso dello spirito e la comune esistenza non è roba da poco. Eppure è un dovere inesorabile, per la sopravvivenza dei diversi. Di quelli che pur essendo solitari per natura, necessitano paradossalmente della mano di un altro: non quella di chiunque, solo di qualcuno che assomigli alla mano da salvare. Che ne comprenda i tormenti, come pure gli entusiasmi ed i virgulti. Ed ecco che per poter scegliere la solitudine, appare necessario scegliere l’altro. E la scelta dell’altro, anche quella più inconscia ed inconsapevole, implica un legame. Un legame che per quanto si cerchi di farlo, non si può evitare. Non si può scappare da ciò che ci assomiglia, da quello o quella che richiama e ritrae le nostre radici. Forse perché, sempre citando Emil Cioran: “L’origine di tutte le nostre schiavitù sta negli affetti. Più si vuole essere liberi, meno ci si lega agli altri esseri e alle cose. Ma una volta legati, svincolarsi è una tragedia”.