Se Confindustria è in allarme “l’Italia è a crescita zero”, le piccole imprese affondano. Più che l’attesa “ripresina” saranno instabilità e sfiducia a dominare il fine 2019. Ieri il vertice della Confederazione degli industriali ha corretto di molto le previsioni improntate all’ottimismo del Governo. “L’Italia è ancora sulla soglia della crescita zero”, hanno detto gli industriali attraverso il loro Centro studi, “si rischia di cadere in recessione in caso di nuovi shock”.
Per le grandi aziende il banco di prova rimarrà il 2020, per ora infatti è scontato che la situazione resterà precaria per i prossimi mesi, malgrado gli annunci e le iniziative di governo, che agli occhi delle associazioni datoriali, restano abbastanza confuse con l’aumento dell’Iva non ancora scongiurato dal momento che si parla di “rimodulazione”. A fare i conti in negativo, (quindi non più previsioni), ma cifre chiare e inesorabili, sono le piccole imprese che sono sotto assedio di burocrazia, fisco e le riforme del mercato del lavoro non fatte.
La conta della “moria” la tiene l’Ufficio Studi CGIA e l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre, che segnala nel suo consueto report come gli artigiani chiudono i battenti delle loro piccole imprese, una disfatta dovuta a numerosi motivi, e tra questi la carenza di personale, un fatto che rappresenta un paradosso in un Paese dove il problema dell’occupazione è al primo posto. “La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la mancanza di credito e l’impennata degli affitti”, spiega il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo, elencando i guai, “sono le cause che hanno costretto molti artigiani a cessare l’attività. E per rilanciare questo settore è necessario, oltre ad abbassare le imposte e ad alleggerire il peso della burocrazia, rivalutare il lavoro manuale.
Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale che è stata spaventosa. L’artigianato è stato dipinto come un mondo residuale, destinato al declino”. Un “mondo” chiuso e svalutato dove i giovani non si sentono attratti ma addirittura respinti, anche le scuole di formazione che potrebbero dare uno sbocco di lavoro concreto sono viste come indirizzi scolastici di serie “b”. “Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno quei ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio”, osserva Zabeo, “per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore”.
Da questa carenza culturale e di occasioni sciupate emerge il controsenso, ossia che molte imprese non trovano personale. “Così nonostante la crisi e i problemi generali che assillano l’artigianato”, fa presente il segretario del centro studi Cgia, Renato Mason, “non sono pochi gli imprenditori di questo settore che segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. Soprattutto al Nord, si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti di mezzi pesanti, i conduttori di macchine a controllo numerico, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i battilamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri”.
Il settori più colpiti dalla crisi sono l’autotrasporto che negli ultimi 10 anni ha perso 22 mila 847 imprese e l’edilizia che ha visto crollare il numero delle imprese di 94 mila unità.
Nel frattempo, che fine hanno fatto le decine di vertenze aperte con i dossier sul tavolo del ministero del lavoro e dello sviluppo? La risposta è semplice, sono ancora lì, dopo la crisi di governo e il cambio dei ministri, da Di Maio a Nunzia Catalfo, i sindacati attendono che ci sia una convocazione per capire che strada prenderanno le vertenze aziendali, che solo ad agosto erano arrivate a quota 160.
Navigazione a vista, per tutti i settori in crisi che sono tra i più diversi, dagli elettrodomestici alla grande distribuzione, dall’alluminio alla consulenza informatica, e colpiscono da Nord a Sud un po’ tutto il paese. In mezzo gli ex lavoratori licenziati, in cassa integrazione o tenuti in vita economica dagli ammortizzatori sociali, che sperano in una svolta.
Le parole del sindacato, in questo stallo, rimangono inequivocabili e riportano la questione lavoro nella realtà di oggi. “Il lavoro non è mai stato frantumato, diviso, contrapposto, con pochi diritti come adesso, con un attacco che è avvenuto attraverso provvedimenti legislativi che non li ha fatti certo il sindacato”, sottolinea il leader della Cgil Maurizio Landini. Dall’altra parte anche Confindustria, nutre dubbi concreti che ci sia una svolta positiva, anzi, in tempi così magri chiedono loro di sostenere le famiglie proponendo di ampliare la platea dei beneficiari del bonus di 80 euro ai lavoratori incipienti e di intervenire sull’Irpef. Se pure Confindustria si schiera per gli 80 euro significa davvero che il 2019 sarà ricordato come l’anno della precarietà.