“Quanta pace trova l’anima dentro/scorre lento il tempo di altre leggi/di un’altra dimensione/e scendo dentro un oceano di silenzio/sempre in calma” scriveva e musicava Franco Battiato con Giusto Pio e con Fleur Jaeggy questo meraviglioso testo, L’Oceano di silenzio: traccia dal filosofico misticismo prima dell’album Fisiognomica dell’88 e poi di Giubbe rosse, uscito nell’anno successivo. Fu uno dei brani, insieme con E ti vengo a cercare e Nomadi eseguiti alla presenza di Giovanni Paolo II nello storico concerto nella Sala Nervi nell’89.
L’ALTROVE TANTO AMATO E IL SILENZIO
Parole le sue che tramite la consueta grazia maestosa che ne circondava l’aura, sembrano adesso condurlo in quell’Altrove da lui sempre descritto per mezzo dell’unica, ineguagliabile armonia frutto della congiunzione tra gli opposti: la profondità che scandaglia l’anima e la leggerezza che al contempo la eleva altissima. Versi questi scritti per L’Oceano di silenzio che sembrano richiamare i Silenzi di Emily Dickinson o quel mestiere: dal silenzio più solenne fino a sterminare l’anima della poetessa Marina Cvetaeva.
LA VOCE DELL’ANIMA: IL SUO TESTAMENTO
E le canzoni del cantautore siciliano risuonano adesso più mai come fossero più forme di un unico testamento: una per ciascun aspetto dell’anima. Ormai testimoni di quella “stanchezza dell’intelligenza astratta: la più terribile” di cui scriveva Pessoa, che “Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell’emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l’anima”; proprio quello che Franco Battiato ha sempre fatto: respirare con l’anima e trasmettere quell’anelito, renderlo parola e musica perché ne sentissimo financo l’odore e il sapore, completamente trasportati nelle atmosfere della nostra realtà o dell’altrove di cui amava scrivere.
Quei Mondi lontanissimi senza spazio e tempo (No time no space) o quei Treni di Tozeur che riportano “la voglia di vivere a un’altra velocità” tra “chiese abbandonate e astronavi per viaggi interstellari”; o nel profumo del Risveglio di primavera cantato anche da Milva, dolce e diversissimo da quello invece acre delle “sigarette turche” offerte da “un signore di una certa età” ne L’Era del cinghiale bianco.
GRAZIE MAESTRO
Voglio rivolgere con questo breve saluto, un mio personalissimo grazie a Battiato: che come me la musica contemporanea lo buttava giù insieme con tutta “l’imbecillità” dei luoghi comuni di Up patriots to arms. Grazie maestro, per avermi insegnato “com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire” (Prospettiva Nevski), e trovare dentro Venezia, Istanbul: “nei suoi rossi tramonti che si perdono nel nulla” – quanti ne ho osservati fumando “una Camel senza filtro” (Venezia-Istanbul). E quante volte ho ascoltato Summer on a solitary beach, canzone dell’album La voce del padrone, distesa sul bagnasciuga, leggendo avvolta dall’umidità del pareo.
Quante volte nei viaggi in macchina ho cantato Cuccurucucù e desiderato anch’io un Centro di gravità permanente; almeno quante sono state le domeniche di Pasqua, a pranzo di fronte a Villa Borghese in cui Ho fatto scalo a Grado senza averla mai visitata. Come nell’Alexander Platz (di Cohen, Battiato, Pio) dove c’era la nebbia che avevo dentro: che offuscava lo spirito. E pure mi ha attraversato quel Sentimiento nuevo “che mi tiene alta la vita”; e la tua voce, maestro Battiato, “m’incatena, come il coro delle sirene di Ulisse” mentre sogno e vedo danzare “balinesi nei giorni di festa” nel tentativo di imitarne i gesti ed i passi, mentre ballo l’estate (Voglio vederti danzare).
Io che penso troppo spesso a “come ho speso male il mio tempo che non tornerà più” come ne La stagione dell’amore; come quando mi è stata dedicata La Cura (scritta dal filosofo Manlio Sgalambro), o la tua E ti vengo a cercare: a me che preferivo intonare la Chanson egocentrique. Grazie alle tue parole, alle tue note, maestro ho volato “nello spazio tra le nuvole” come fanno Gli uccelli “in questa parte di universo, del nostro sistema solare” e ho potuto vedere anch’io “camminare le aquile” (Le aquile).
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