Chiunque prenderà il posto di ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico avrà di fronte un muro di vertenze, un esercito di lavoratori in attesa, di aziende grandi e piccole pronte a gettare la spugna o, che nel frattempo, hanno chiuso i battenti. A luglio i titoli dei giornali erano: sarà un Estate calda. Ora si prevede un Autunno caldissimo. La crisi di governo ha riportato tutto in alto mare e se ne riparlerà a settembre.
Nel frattempo “ostaggi” della crisi politica e del “ribaltone” di Governo ci sono tra gli 80 mila e i 300 mila lavoratori, alle prese con cassa integrazione e lettere di licenziamento. Uno scenario a tinte fosche prodotto da 160 vertenze – per citare quelle di medie e gradi aziende – che finora tra promesse e ritardi, sono rimaste sospese e, stando ai segnali generali di crisi, si aggiungeranno altre vertenze rendendo il prossimo autunno una polveriera sul fronte del lavoro e della mancata ripresa industriale. Il verdetto dei sindacati e delle categorie produttive più esposte è stato unanime nel giudicare la situazione di emergenza.
Per i sindacati ci sono imprese che scappano e altre che ricorrono sempre più spesso alla scorciatoia degli ammortizzatori sociali. “Il lavoro non è mai stato frantumato, diviso, contrapposto, con pochi diritti come adesso, con un attacco che è avvenuto attraverso provvedimenti legislativi che non li ha fatti certo il sindacato”, ha sottolineato il leader della Cgil Maurizio Landini.
Per il leader della Fim Cisl Marco Bentivogli, “il Ministero dello sviluppo economico è ormai un luogo fantasma: non bastano le proroghe degli ammortizzatori sociali, ci vogliono politiche, scelte, decisioni”. A pagare continuano ad essere solo i lavoratori: nel 35% dei tavoli aperti al Mise: “ci saranno lavoratori licenziati, circa 90mila”, calcola il segretario della Uilm Rocco Palombella, “in aggiunta ai 300mila che hanno già perso il posto di lavoro”. I dossier lasciati sul tavolo del Ministero dello sviluppo economico
riguardano settori tra i più diversi, dagli elettrodomestici alla grande distribuzione, dall’alluminio alla consulenza informatica, e colpiscono da Nord a Sud un pò tutto il paese.
Tutte le vertenze dovrebbero essere aggiornate a settembre con esiti altamente incerti, i segnali di frenata dell’economia non hanno colpito solo l’Italia ma anche la Germania, ad intensificare quei scenari più pessimisti sulla possibilità di una rapida ripresa e quindi del rilancio occupazionale.
Il nuovo ministro del lavoro troverà anche un fronte sindacale contrariato dai ritardi, al Ministero, secondo i dirigenti sindacali, non c’è un elenco aggiornato delle varie situazioni. L’ingresso continuo di nuove vertenze e la difficoltà di definire del tutto chiuse quelle aperte da anni complicano la ricognizione. Secondo una stima del quotidiano economico il Sole 24 Ore, in attesa ci sono circa 49mila lavoratori coinvolti al Nord, 44mila al Sud, 37mila al Centro. Altri 78mila lavoratori invece sono coinvolti in tavoli che hanno ricadute su regioni in diverse macroaree del paese.
Circa il 35% dei quasi 210mila lavoratori è impiegato in imprese a maggior rischio di chiusura, quindi dalla ricollocazione più complessa. Un tavolo su cinque, all’incirca, riguarda aziende che in parte o totalmente sono state interessate da cessazione di attività in Italia per delocalizzazione all’estero.
La mappa dei settori vede un picco nel commercio, con 36mila addetti compresi quelli toccati dalle più recenti vertenze Auchan e Mercatone Uno, aggiornata al 16 settembre. Più di 20mila gli addetti che lavorano nell’industria siderurgica, 19mila nel settore degli elettrodomestici, quasi 17mila nei call center, 14mila nell’information technology, oltre 9mila nelle telecomunicazioni, quasi 7mila nell’edilizia, intorno ai 5mila nell’automotive.
A completare un quadro di profonda incertezza ci sono poi tutti i concorsi annunciati dalla ex ministra della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno con il “decreto concretezza”. Iniziativa per ora rimasta ferma in attesa dei decreti attuativi, che sono sospesi in attesa che venga risolta la crisi di governo.
Le cifre mostrano come ci sia più di una preoccupazione. Le uscite previste per “quota cento”, ad esempio entro il 2023 devono essere rimpiazzate per evitare il blocco della pubblica amministrazione. Era previsto un reclutamento di circa 500mila nuovi dipendenti tramite procedure velocizzate. Ma al momento anche in questo caso è tutto fermo in attesa del nuovo Governo e dei nuovi ministri.