La credibilità della magistratura è nuovamente minata alla base dalla vicenda dei verbali d’interrogatorio dell’avv. Piero Amara davanti alla Procura di Milano su ingarbugliate vicende di depistaggi del processo
Eni-Nigeria, col corollario della narrazione di alcune corruzioni di giudici e di contorti rapporti finalizzati a favorire promozioni e incarichi con politici, imprenditori e magistrati.
Cercherò di sintetizzare i punti salienti della storia, per come narrati dalla stampa quotidiana: anche se – avverto subito – il fatto in sé non è l’oggetto del mio odierno intervento, ma solamente il pretesto per
alcune considerazioni che già mi è capitato di svolgere. Ma, soprattutto per rilanciare ed approfondire la necessità di ristabilire il giusto rapporto della società e dei cittadini col processo, come espresso con
mirabile sintesi dall’Avvocato on. Francesco Paolo Sisto, sottosegretario di Stato presso il Ministero della Giustizia, in una intervista televisiva conseguente al clamore del caso Amara-Csm.
Caso che, narrano le cronache, nasce dalla decisione della Procura di Milano di “secretare” quei verbali di interrogatorio, di non depositarli in alcun procedimento e di non utilizzarli come “notizia di reato”.
L’avv. Amara patteggia una pena di 2 anni e 8 mesi. La sua storia finisce lì, ma i verbali secretati sembrano vivere di vita propria.
Sempre secondo le cronache il sostituto procuratore milanese Paolo Storari ne avrebbe consegnato una copia nell’aprile 2020 al suo capo corrente Presidente Piercamillo Davigo, componente del Csm, il quale al
Corriere della Sera ha dichiarato di avere ricevuto i verbali, ma che il segreto non doveva essere da lui violato perché “non opponibile ai componenti del Csm. E io ho subito informato chi di dovere” senza
specificare chi e quale autorità fosse (ma il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Salvi, ha avuto qualcosa da ridire al riguardo).
Altra copia sarebbe pervenuta in forma anonima ad un altro membro del Csm, il giudice Di Matteo, che, invece, ne parla apertamente nel plenum del 28 aprile 2020 e formalmente investe la competente Procura di Perugia. Altre copie dei verbali sarebbero state inviate, infine, a vari giornali: è indagata dalla Procura di Roma, come autrice degli invii, una funzionaria del Csm, ora sospesa dal servizio.
Storia amara che non mi interessa approfondire, né per sapere se abbia qualche fondamento il coinvolgimento dell’ex Presidente Conte o se veramente esista una loggia “Ungheria”, preteso luogo riservato di incontri tra giudici, politici, alti dirigenti statali, imprenditori.
Il punto piu dubbio della vicenda non è tanto il comportamento del dott. Davigo, il quale saprà dare certamente spiegazione di un atteggiamento che non appare del tutto chiaro e, naturalmente, è presunto innocente fino a sentenza definitiva contraria: trattengo a stento, però, la battuta di usare il suo metro e dirlo “presunto colpevole non ancora scoperto”.
Ciò su cui credo si debba più riflettere è sulla obbligatorietà dell’azione penale: il principio che, a mio sommesso avviso, viene maggiormente in considerazione. Il rispetto dello stesso avrebbe
imposto, infatti, di aprire un’azione penale nei confronti di ciascuno dei soggetti menzionati nei verbali, di iscriverli nel registro degli indagati, poi, accertata la non sussistenza dei reati ipotizzarli
archiviare o chiederne il rinvio a giudizio.
Oppure subito indagare per calunnia il delatore, se creduto tale l’avv. Amara.
Insomma una riprova ennesima della possibilità di una discrezionalità di fatto dell’azione penale: che stabilisce una priorità nei reati da perseguire, che lascia prescrivere per inattività migliaia di reati,
salvo poi invocare barbare leggi anti prescrizione, laddove, al contrario, è da barbari tenere indagato un cittadino per anni e anni. E poi tacciarlo per colpevole perché non ha rinunciato alla prescrizione.
Ma anche azione penale obbligatoria che serve come giustificazione di accuse discutibili, e che legittima l’elevato numero di assoluzioni che da ciò derivano e le centinaia di ingiuste detenzioni che lo Stato deve
risarcire ogni anno: l’unico danno erariale non risarcibile dai funzionari che lo hanno determinato.
Azione penale che si vuole obbligatoria proprio perché non si accetta il principio di responsabilizzazione della scelta, della necessarietà di valutare prima se l’azione esercitata, al di là del convincimento e del
teorema accusatorio, sia dimostrabile in un pubblico dibattimento. In un processo come ha detto giustamente l’on. Sisto, che deve essere rimesso nella sua giusta dimensione: come luogo di garanzia assoluta dell’imputato, fosse anche il più bieco e disprezzabile individuo,
autore del più atroce e ripugnante delitto.
Perché la funzione del processo, se c’è una magistratura indipendente ed autonoma come è in uno Stato di diritto, è quello di evitare il linciaggio: la giustizia non è solo condanna, ma celebra il suo trionfo
e la sua vera funzione quando non manda in galera un innocente. In fondo, quando il mugnaio tedesco disse “c’è un giudice a Berlino” confidava proprio su questo: in un giusto rapporto col processo, come
luogo in cui un magistrato lo avrebbe giudicato con imparzialità, senza cedere alle lusinghe del potere o alle suggestioni popolare. Un giusto rapporto col processo, che deve essere ristabilito dalla nostra società,
archiviando per sempre la barbarie giustizialista.