È tutto un pullulare a Roma, nei giorni dell’annuncio e della promulgazione del “decreto riaperture”, di falegnami intenti a realizzare pedane su spazi sottratti ai parcheggi nei tratti di strade antistanti a bar e ristoranti.
Piattaforme richieste da imprenditori, da un lato avviliti e dall’altro pieni di speranza, che compiono l’ennesima spesa per adeguare la loro attività a disposizioni contraddittorie, a volte inspiegabili, spesso istericamente imposte, revocate, reintrodotte (se lo ricordino tra qualche tempo quelli che queste pedane hanno oggi suggerito, che in genere sono gli stessi benpensanti che prima della pandemia protestavano per i troppi tavolini all’aperto).
In questi stessi stessi giorni, sui media – chiusa la parentesi della “grillata” sul processo al figlio (al quale sinceramente auguro di non imbattersi in un giudice del tipo che il partito fondato dal padre avrebbe voluto imporre agli italiani) – uno pseudo dibattito ideologico che ha dell’allucinante.
Col partito delle “22”, impersonificato per lo più da PD, LEU (A1), parte governativa del fu M5S e, addirittura, da qualche ministro della resistente FI (evidentemente ansioso di non apparire di destra), contrapposto a quello delle “23”, FdI lancia in resta e Lega incredibilmente timida e incerta tra radicalismo salviniano e mediazione giorginiana: come se la salvezza della vita, fisica ed economica, degli italiani dipendesse da quell’ora.
Al centro di tutto questo elevato consesso, il Ministro della salute, Roberto Speranza: del quale – colpo di scena: e sono sicuro che nessuno di quelli, tra i miei quaranta lettori, che hanno avuto la pazienza di seguirmi fin qui se lo aspettava – voglio prendere le parti.
Voglio prenderne le parti, sia chiaro, non per una simpatia personale: non me la ispira per niente, col suo volto triste, incorniciato dall’ombra di una barba che inizia ad allungarsi e con la sua parlata atonica (ricordo che nella mia allegoria “L’opera dei Pupi”, in questa rubrica il 7 febbraio 2021, il Ministro Speranza dà la voce a Circasso Sacripante, che recita una sola battuta: «Ricordatevi che dovete morire!»).
Né mi ispira una affinità culturale o di pensiero: non dico ideologica perché io, fortunatamente, come è scritto nel mio profilo twitter, ho dubbi, non dogmi, se non “tutto e il contrario di tutto”; ma egli rappresenta quanto di più lontano vi sia dal mio essere liberale, fino al quasi libertario, e dalla mia utopia di avere “meno Stato”.
La ragione della mia scelta è in realtà un moto di repulsa ad un dibattito stantìo ed inutile, in cui, accettando implicitamente l’abnormità della restrizione imposta ai cittadini italiani, gli uni indicano il Ministro Speranza, capro espiatorio dell’impotenza umana contro la pandemia, additandolo come responsabile di tutte le disfunzioni sanitarie, economiche, sociali; gli altri lo acclamano unico paladino e tutore della salute pubblica.
Tutto il bene o tutto il male possibile, senza tenere in alcun conto che egli possa agire con onestà intellettuale, per un fine non del tutto dissimile da quello voluto da chi lo denigra.
Ma soprattutto, senza considerare, che – tutti a parole d’accordo nel volere insieme la salvaguardia della salute e la ripresa dell’economia – non è questione di cambiare un uomo dell’esecutivo, ma di realizzare un sistema serio ed efficace e di far sì che, per una volta, il Governo persegua realmente una finalità pubblica, addirittura sopra interessi elettorali o privati, deprecabili in eguale misura in una situazione come quella attuale.
In realtà la lotta a Speranza, la sfiducia posta da più parti nei suoi confronti, la difesa ad oltranza e comunque che riceve d’ufficio dal suo schieramento, sono facce della stessa medaglia del degrado politico in cui l’Italia è caduta.
Degrado di uomini: che spesso sembrano porre in secondo piano l’interesse pubblico ed il mandato insito nell’ufficio rivestito, ma esercitano il potere per il potere, hanno solo considerazione verso chi sia funzionale a quella gestione. Le vicende degli ultimi tempi rendono chiaro ciò, con alleanze innaturali, dettate solo dall’interesse, passando indifferentemente dal nero al rosso o ad un minestrone in cui ogni sapore si confonde.
Degrado che vorrei non ci fosse: ardentemente faccio il tifo perché tutte le persone che oggi fanno parte dell’esecutivo abbiano la necessaria onestà morale e siano lì per eseguire un mandato popolare, non per inseguire un loro interesse.
Di amministrare, insomma, nell’interesse dello Stato, non dello schieramento che rappresentano e che li ha messi in quella posizione. Men che mai nell’interesse proprio.
In questa ottica dico che il Ministro Speranza, che voglio credere creda in ciò che fa, non merita la gogna: anche se, personalmente, ho più volte pensato che se ci fosse capitato, nel lungo periodo dell’epidemia un ministro più liberale avremmo avuto le medesime cautele sanitarie con minori restrizioni; e magari, con più rispetto, quali cittadini.
Forse addirittura senza l’offesa del “coprifuoco”: che è una misura militare e di ordine pubblico, non sanitaria; indegna di uno Stato democratico e di diritto, ancorché sia stata adottata in più nazioni.
E non è questione di un’ora in più o in meno, delle 22 o delle 23, ma di pensare di avere a che fare con cittadini responsabili del loro essere e non con sudditi da rinchiudere nell’ovile.