Se neanche la pandemia ci ha fatto cambiare il nostro modo bizzarro e squinternato di affrontare i problemi, quali illusioni possiamo ancora coltivare sul futuro dell’Italia? Una sola, forse. Che i giovani che hanno pagato psicologicamente il prezzo più alto di questa sofferenza, siano più rispettosi delle regole, più seri, più razionali della generazione che li ha preceduti.
“Io apro”, “io non vaccino solo in base all’età” “io ospiterei gli Europei di calcio” Tre voci che offrono un quadro della confusione con cui l’Italia stia vivendo questa fase, si spera finale, della pandemia: in ordine sparso, alla ricerca di un equilibrio che non c’è.
In piazza, davanti a Parlamento e Governo, e c’è la disperazione sacrosanta di ristoratori e di altri esercizi commerciali allo stremo, chiusi da quasi un anno, con pochi sussidi e mille incognite. Chiedono una data certa per le riaperture. Ma chi può conoscere il giorno preciso in cui i numeri dei contagi, dei ricoveri in terapia intensiva e delle vaccinazioni consentiranno di allentare la morsa delle chiusure?
Se ci fossero regole precise e controlli a tappeto severissimi si sarebbero potute aprire da tempo aprire alcune attività, ristoranti inclusi, obbligando avventori ed esercenti a rispettare rigide regole sanitarie pena sanzioni draconiane. Ma l’Italia è il Paese in cui i controlli non funzionano e la furbizia di chi elude la legge è considerata una virtù. E quindi è più facile tenere tutto chiuso. Con costi economici, umani e sociali devastanti. Ai quali si aggiungono i tentativi di strumentalizzazione del malessere sia da parte di partiti che approvano la linea del governo e poi la sconfessano nelle piazze sia da parte di infiltrazioni di violenti facinorosi che sperano di far esplodere l’incendio sociale a scopi eversivi.
Ma se in piazza c’è chi urla “io apro”, nelle istituzioni c’è chi si fa un baffo della strategia vaccinale decisa dal Governo. Il Presidente della Regione Campania dice che, vaccinati gli ultra-ottantenni, deciderà lui quali categorie saranno immunizzate nella sua regione. L’Italia non ha un sistema ma venti sistemi sanitari, uno per ogni regione, purtroppo…se ognuna fa di testa propria beh addio a qualsiasi piano nazionale. C’è bisogno di altro caos dopo quelli già andati in scena da un anno in qua?
E poi c’è la voce di un illustre scienziato, il prof. Vaia, Direttore dello Spallanzani, da sempre propugnatore di un approccio sereno e tendente all’ottimismo. Vaia auspica una riapertura controllata dello stadio Olimpico, sarebbe un segnale di rinascita dell’Italia-commenta. Un auspicio che sembra una indicazione autorevole a Draghi.
In questo mescolarsi di disperazione, ottimismo e decisionismo locale la fa da padrona solo l’incertezza che genera confusione mentre ci sarebbe bisogno di pochi solidi punti di riferimento
L’Italia è un Paese da sempre ingovernabile in cui il motto del sessantotto “la fantasia la potere” è una poco divertente realtà.
Se neanche una pandemia ci ha fatto cambiare il nostro modo bizzarro e squinternato di affrontare i problemi, quali illusioni possiamo ancora coltivare sul futuro dell’Italia? Una sola, forse. Che i giovani che hanno pagato psicologicamente il prezzo più alto di questa sofferenza, capiscano gli errori commessi dalle classi dirigenti e siano più seri, più razionali e più rispettosi delle regole della generazione che li precede.