Conte non deve fare solo il lifting ai 5 stelle ma deve diventare il protagonista di un nuovo soggetto politico che ai 5 Stelle “liberali” affianchi altre componenti della cultura e tradizione politica italiana, in particolare quella del cattolicesimo popolare e riformatore di ispirazione degasperiana.
Il prof. Giuseppe Conte è il Tom Cruise della politica italiana. Gli viene sempre chiesto di svolgere missioni sulla carta impossibili.
Le prime tre le ha portate felicemente a termine la quarta sembra più problematica.
La prima operazione cui fu chiamato nel giugno del 2018 era tutt’altro che semplice: mettere insieme i vittoriosi 5 Stelle (33%) e una Lega con cui gran parte del gruppo dirigente grillino non aveva alcuna voglia di governare. Neofita della politica Conte, invitato da Di Maio e Bonafede, accettò di guidare una coalizione litigiosa in cui svolgere anche il solo ruolo del notaio era impresa ardua. Si dimostrò un ottimo incassatore e mediatore. Ma poco poté contro la bulimia mediatica e la prepotenza politica di Salvini che, nel volgere, di un anno, riuscì a imporre a Di Maio una serie di scelte che premiarono la Lega alle elezioni europee e penalizzarono i seguaci di Grillo. Quando le forzature di Salvini arrivarono ad eccessi non più accettabili per i 5 Stelle, Conte tirò fuori il pugno di ferro che nascondeva sotto il guanto di velluto e in Parlamento liquidò con un’arringa esemplare il suo ministro dell’Interno.
Chiusa una partita per Conte si profilò una seconda e non meno complessa operazione: far governare insieme i 5 Stelle con l’odiatissimo Pd. Questa volta l’avvocato cominciò ad esercitare il suo ruolo con maggiore diplomazia politica. Anche perché, un giorno sì e l’altro pure, gli piovevano addosso gli strali di Renzi fresco di scissione dal Pd. Conte spostò definitivamente i 5 Stelle su posizioni europeiste, mise in soffitta l’armamentario populista dell’avvocato del popolo e prese il timone del governo con saggezza. Poi, un anno fa, è arrivata la pandemia. E questa terza missione pericolosa Conte l’ha gestita in un modo che, complessivamente, gli italiani e gli altri Paesi Europei hanno giudicato positivo. Errori ne ha commessi, molto meno di Boris Johnson e Donald Trump. A giugno 2020 ha portato a casa l’impegno dell’Europa a darci 209 miliardi.
Molti sottovalutano l’importanza di questo risultato.
La crisi innescata da Renzi non è stata gestita al meglio da Conte che, di fronte alla spregiudicatezza altrui avrebbe dovuto muoversi con maggiore determinazione. Uscendo da Palazzo Chigi Conte ha detto ai 5 stelle: sostenete Draghi, io ci sarò sempre per voi. E ha dato l’impressione di voler fare il Cincinnato. In meno di un mese la campanella della prossima, quarta, missione impossibile è tornata a suonare per Conte. I 5 Stelle dilaniati da un conflitto interno insanabile gli chiedono di guidare il Movimento per provare a tenere insieme ciò che ormai è rotto.
Conte non può sbagliare in questa operazione. Se rifiuta esce fuori dal gioco. Se accetta illude se stesso e gli altri che sia possibile ricucire l’evidente scissione tra i nostalgici del vaffa e chi ha scoperto le virtù della moderazione. Che fare? Conte potrebbe accettare di guidare definitivamente una parte dei 5 Stelle verso una nuova identità che Di Maio ha definito liberale. Non si tratta di masticare parole di comodo ma di cambiare radicalmente la visione della politica e dei problemi. Non è una passeggiata. Ma se Conte accetta questa sfida non deve fare solo il lifting ai 5 stelle ma deve diventare il protagonista di un nuovo soggetto politico che ai 5 Stelle “liberali” affianchi altre componenti della cultura e tradizione politica italiana, in particolare quella del cattolicesimo popolare e riformatore di ispirazione degasperiana.
Solo aprendo una fase nuova Conte potrà utilizzare l’ampio consenso e prestigio di cui gode per rinnovare la politica italiana e non limitarsi a tenere in vita quel che resta dei 5 Stelle.