Il giornalismo politico italiano influisce più sulla politica che sull’opinione pubblica.
I motivi sono vari. Innanzitutto il linguaggio. Gli articoli e i commenti sono scritti per gli addetti ai lavori, cioè altri colleghi giornalisti e quel vasto mondo che gira intorno alla politica e all’ amministrazione pubblica: una esigua minoranza del Paese, anche se dotata di potere. Spesso si usano espressioni e metafore del gergo politico che risultano prive di significato e oscure per la stragrande maggioranza dei lettori.
Parte integrante di questo linguaggio è il ricorso al sensazionalismo: titoli sparati per attrarre l’attenzione che resta puntualmente delusa dal contenuto degli articoli.
Leggendo i giornali italiani sembra che ogni giorno stia per cadere il Governo e che elezioni anticipate siano imminenti. Le parole che dominano nella descrizione degli aventi politici sono bellicose ed evocano un clima di conflitto perenne ed esasperato.
Questa forma di linguaggio gergale e incendiario ha reso il giornalismo politico autoreferenziale: si parla addosso e non comunica con i lettori. L’autocompiacimento del giornalismo politico lo ha reso anche bulimico: ogni giorno si scrivono numerosi articoli di politica anche quando non c’è neanche una notizia da dare.
La quantità di spazio dedicata dai giornali italiani alla politica è eccessiva e non ha pari nel panorama dell’informazione dei Paesi democratici.
Sarebbe una forma di alta democrazia informativa, se si trattasse di informazioni precise, puntuali, ben vagliate, controllate e fornite in maniera chiara ed accessibile. Ma così non è quasi mai. Si va avanti a indiscrezioni, retroscena per lo più fantasiosi, ricostruzioni arbitrarie che invece di rendere più trasparente la politica aumentano la caligine che la rende incomprensibile all’opinione pubblica.
Tutto questo crea confusione tra i cittadini e semina zizzania tra i partiti e tra le istituzioni. Il risultato finale è una baraonda di dichiarazioni, di botte e risposte, di fuochi artificiali che svaniscono in pochissimo tempo e lasciano solo un acre odore di bruciato.
Diciamo la verità, non è uno spettacolo edificante.
Oltre al linguaggio c’è poi la tendenza di alcune tesate alla partigianeria. Certi giornali indipendenti tendono a sposare posizioni politiche in maniera smodata e finiscono per diventare indulgenti verso gli amici e spietati contro chi la pensa diversamente.
A volte leggendo articoli o assistendo ad esibizioni televisive di autorevoli direttori e commentatori si ha l’impressione di trovarsi davanti ad avvocati d’ufficio di leader politici. E questo toglie credibilità al giornalismo. L’imparzialità assoluta è impossibile. Ma un po’ di moderazione ed equilibrio sarebbero necessari: le tifoserie vanno bene allo stadio non sui giornali che devono comunque “informare” e non fare da megafono a questa o quella posizione di parte.
Tutto questo non è privo di conseguenze. Il giornalismo politico italiano raramente realizza scoop sulla vita dei partiti e delle istituzioni. Spesso è un amplificatore di conflitti di cui non si sente alcun bisogno.
C’è bisogno di un giornalismo politico ben informato, che scava nei fatti alla ricerca di notizie da raccontare in maniera comprensibile, critico e spassionato che non guarda in faccia a nessuno senza simpatie o antipatie.
È possibile un cambio di passo del giornalismo politico nell’era Draghi?
Speriamo.