Il fascino di Pannella Giacinto detto Marco (così nelle liste elettorali) indubbiamente l’ho molto subito da giovane.
Sarà forse perché la prima volta che ho votato è stata nel 1974, al referendum per il divorzio, pochi giorni dopo essere diventato maggiorenne: all’epoca avveniva ancora a 21 anni, si era ritenuti un poco meno svegli. Ma era il tempo in cui c’era ancora il marito capofamiglia ed il modello legislativo era ancora quello del secolo prima: avevamo introdotto il divorzio nel 1971, ma non ancora riformato il diritto di famiglia.
Pannella, però, anche se magari non votavo radicale, era indubbiamente una personalità a cui guardavo, spesso con entusiasmo giovanile per le sue battaglie soprattutto libertarie.
Per quanto fossi un giovane di buona famiglia meridionale, che non avevo nessuna dimestichezza con spinelli e affini, fui tra i ragazzi che protestarono quando nel 1975 Marco Pannella, compiendo un gesto di disobbedienza civile antiproibizionista (ma anche affermando che il divieto arricchisse le mafie), annunciò che avrebbe fumato in pubblico uno spinello e venne regolarmente arrestato. Protesta che mi consentì nel 1976 di canticchiare senza vergogna, anche se non avevo mai fatto neppure una tirata, “una storia disonesta” di Stefano Rosso («che bello due amici, una chitarra, e uno spinello; e una ragazza giusta che ci sta»).
Tempi felici, politicamente scorretti e canzonatori, che riuscivano ad esprimere fenomeni come gli “indiani metropolitani” e slogan del tipo «chi ama non Lama» o «Lama fatte ‘na pera», con cui veniva accolto alla Sapienza il fino ad allora intangibile leader sindacale.
Tempi che inevitabilmente devo evocare, leggendo la sfida lanciata da Antonio Scurati sulla prima pagina del Corriere della Sera di domenica scorsa (24 gennaio 2021) di fumare all’aperto a Milano («nel rispetto della salute degli altri»), sfidando il divieto comunale entrato in vigore qualche giorno prima.
Tempi, però, che mi fanno anche considerare la tristezza dei giorni nostri: il gesto di disobbedienza di Pannella era su un argomento forte; oggi il gesto di disobbedienza di Scurati è su un gesto normale, che mia moglie compie – felicemente per lei; io sono più di quindici anni che convintamente non lo faccio – una ventina di volte al giorno.
Eppure, pur non fumando, come nel 1975 senza conoscere il sapore della marijuana ero solidale con Pannella, oggi sono solidale con Scurati.
Lo sono perché aborro il conformismo culturale di tipo americano che ci è stato imposto, perché rifuggo dal “politically correct”, da chi c’è l’ha con Cristoforo Colombo per le sue idee colonialiste, da chi censura Peter Pan e gli Aristogatti. Perché, indubbiamente, mi sento un po’ “Asterix il gallico” col diritto di sbeffeggiare gli elvetici, i normanni, i britanni, gli ispanici, i pirati con lo schiavo di colore e di essere a sua volta sbeffeggiato, senza che qualcuno tiri fuori ipocrisie per vedere il razzismo anche dove non c’è. Perché apprezzo Macron che, in Francia, proprio oggi contro il parere del CTS ha riaperto le scuole (il medico va seguito, ma “cum grano salis”).
Ma lo sono anche perché i nostri tempi ci hanno portato a vietare – sia pure come unico antidoto al Covid – comportamenti assolutamente normali.
Così annuncio che anch’io disobbedirò oggi e raggiungerò, nonostante i divieti, i miei figli che so avere in animo di vedersi tra loro. Saremo, coniugi compresi, in sei; oltre alla cana Avana: un assembramento.
Ma disobbedisco, perché condivido totalmente il rigetto della «ideologia integralista della vita sana imposta per legge», contestata da Scurati. Condivisione così totale che chiudo questa mia paginetta, riportando integralmente una sua considerazione: «Viviamo in un mondo nel quale potenti forze storiche sottopongono la libertà individuale a una pressione sempre più opprimente. Quattro gigantesche aziende planetarie egemonizzano, oramai, l’informazione, il commercio, la relazioni sociali, i consumi culturali. La libera sfera dell’individuo e, oramai, quasi completamente annientata. Il Covid ha, poi, ulteriormente aggravato questa crisi epocale delle prerogative individuali, autorizzando gli Stati liberali a imporre restrizioni e obblighi che nemmeno le dittature avevano mai usato imporre. Chi progetta la cultura civica del prossimo futuro dovrebbe ridare centralità all’individuo, non sottrargliela. Già subiamo l’egemonia di Google, Zuckerberg e Besos, ci manca pure che un anonimo assessore pretende di imporsi il suo personale vademecum per una vita buona, sana e nutriente».
La disobbedienza civile, ricordiamolo sempre, è l’arma più potente che il cittadino possiede contro i continui soprusi quotidiani che, inevitabilmente, chi ha anche il più minimo potere ritiene di potere imporre.