Ogni tanto, inesorabilmente, devo parlare della mia Calabria: oramai una irrisolta, ma mi ostino a dire risolvibile, “vexata quaestio”.
Perdoneranno i miei quaranta lettori questa mia dichiarata debolezza per la terra natìa, anche se annoto che l’ultima volta ne avevo scritto tre mesi fa, lunedì 9 novembre 2020, con l’unica “edizione straordinaria” di questa rubrica settimanale, indotta dalla formidabile doppietta delle vicende del generale Saverio Cotticelli e del dott. Giuseppe Zuccatelli nella commissariata sanità calabrese.
Annoto, peraltro, che – sia pur mordendomi le labbra – sono stato zitto allorché, quasi un mese dopo, tra mille difficoltà e gaffe il Governo aveva nominato il nuovo commissario, un poliziotto (una giusta alternanza tra i corpi di pubblica sicurezza), il Prefetto Guido Longo: ciò che – al di là delle indubbie qualità dell’uomo – mi sembrava confermare che nella visione romana il problema non fosse tanto di assicurare il diritto alla salute ai calabresi, quanto di perseguire finalità differenti, prevalentemente di ordine pubblico.
Mi consolava, nella mia offesa dignità calabrese, constatare che più o meno nello stesso periodo, in esito a libere e democratiche elezioni, al vertice de La Sapienza di Roma, tra le più antiche Università del mondo (1303), veniva eletta Rettrice la formidabile professoressa di medicina, Antonella Polimeni (prima donna in oltre settecento anni) e preside della facoltà di medicina dello stesso ateneo il Professore Domenico “Mimmo” Alvaro: entrambi non soltanto calabresi, ma locridei.
Segno che forse il Governo avrebbe potuto cercare il commissario della sanità tra competenze diverse da quelle meramente “poliziesche”, addirittura tra i calabresi: ma perfino restituirla alla Regione, essendo impossibile fare peggio degli ultimi dieci anni.
Eppure il mio naturale ottimismo mi faceva intravedere nelle elezioni regionali della prossima primavera una occasione per la Calabria.
Il mio auspicio era che seguitasse quella volontà di cambiamento manifestato con l’elezione della compianta Jole Santelli: una donna al vertice, che, nella mia certamente opinabile analisi (venerdì sera su Raitre Corrado Augius ha espresso l’opposto), costituiva una autentica rivoluzione, impedendo – e, conseguentemente, mutandola – quella abituale interlocuzione tra l’amministrazione e poteri tradizionalmente maschili.
Le mie illusioni di autonomia, di rinnovamento, di rinascita, si sono miseramente avvilite dall’annuncio, nei giorni scorsi, dell’auto candidatura alla presidenza della Regione Calabria del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ex giudice, già sostituto pubblico ministero di Catanzaro nel primo decennio degli anni 2000, autore di inchieste che suscitarono all’epoca molte polemiche.
Autocandidatura presuntuosa, che si basa su alcune presunzioni errate, che gli fanno ritenere di essere l’uomo giusto al momento giusto, in soccorso di una terra abbandonata.
Ciò che non è. In primo luogo perché la Calabria non è terra di conquista, come si vorrebbe fare intendere e come l’accettazione supina del decennale commissariamento sanitario farebbe intendere. Mi auguro che prima o poi ci sia un amministratore regionale che, rispettando rigorosamente le leggi, rimetta a posto la situazione, non accettando i provvedimenti statali di carattere coloniale.
In secondo luogo perché non è l’uomo giusto: e non tanto per essere il figlio di una buona borghesia napoletana e non calabrese, quanto per il suo porsi nella candidatura, non come politico, ma come ex magistrato. Lo si desume chiaramente dai suoi primi interventi dove – credendo per l’appunto di cogliere il “momento giusto” – non proclama alcuno dei suoi intenti politici. Il sindaco De Magistris, piuttosto, “vanta” la sua lungimiranza inquisitoria, appropriandosi di alcune ipotesi accusatorie dell’attuale Procuratore di Catanzaro, Dott. Nicola Gratteri, vantandosi di averle fatte lui più di dieci anni prima: affermazione che, a mio avviso, non si risolve in un suo merito, ma in una critica verso l’attuale Procura: che ci avrebbe messo 14 anni per arrivare alle sue conclusioni del 2007.
Quindi una sua candidatura non come amministratore, ma forse come super procuratore.
Una sorta di Ringo, ingiustamente scacciato che ritorna e rimette le cose a posto, con una giustizia necessariamente sommaria, in una Regione che non ha diritto alla normalità.
Confido però che gli elettori calabresi non votino per Ringo e sappiano scegliere un candidato che si proponga non per il potere, ma con un programma lungimirante.
Si può anche in un territorio come la Calabria: la lotta alla mafia può cominciare anche dall’amministrazione regionale, nella consapevolezza che la magistratura interviene solo dopo il reato, ricercando prove per condannare il colpevole (non basta credere di aver trovato il reo: senza prove valide non si è fatto nulla), ma che non può incidere sul fenomeno più di questo.