Nel brano L’anno che verrà Lucio Dalla si auspicava, scrivendolo al suo amico destinatario di un’immaginaria lettera, che per l’anno nuovo sarebbero spariti “i troppo furbi e i cretini di ogni età”. Forse quel suo desiderio non si è mai avverato e mai si avvererà; ma non era un caso in quella canzone – e non lo è mai stato in ogni altra occasione – che le due caratteristiche andassero a braccetto. Del resto che, antiteticamente, ingenuità ed intelligenza siano un tutt’uno è stato detto innumerevoli volte e da menti eccellenti – ma questo è un altro discorso; oggi parliamo di scemi astuti. A dare dello sciocco a qualcuno si rischiano sempre due naturali conseguenze: essere considerati sciocchi a nostra volta per aver giudicato il prossimo con protervia e superficialità – oppure fornire di noi stessi l’idea di volerci elevare sminuendo qualcun altro e pertanto con scarsi risultati. Ed è vero: nessuno di noi, neanche il più dritto, se lo può davvero permettere. E non soltanto perché ciascuno lotta ogni giorno contro debolezze e demoni interiori magari più gravi e grevi sul piatto della bilancia rispetto alla mancanza di genio – ma perché soprattutto la maggioranza di quelli che in genere sono considerati sciocchi, sono poi i più furbi: in assoluto. L’astuzia, di questi tempi nettamente sopravvalutata e considerata quale unico mezzo pratico di sopravvivenza, significa in effetti risolvere il problema del giorno. La sua reale accezione, troppo spesso travisata, esclude quindi totalmente la capacità di una visione d’insieme della vita; la lungimiranza e la comprensione viscerale ed immediata – peculiare dell’intelligenza – delle cose, delle situazioni e delle persone. Il sinonimo d’intelligenza per eccellenza: la sensibilità, indice del fatto che intelligere, l’atto di scegliere, si traduca in un equilibrio equipollente di scelta tra “cuore e testa”. Come dire che l’intelligenza sia cuore del senno e la sensibilità senno del cuore. Bertrand Russell, ne L’elogio dell’ozio del 1932 , sosteneva che il problema dell’umanità fosse uno soltanto: “gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi”. Mi chiedo allora se sia giusto porre una così netta divaricazione tra le due parti e quanto di sciocco ci sia in chi riteniamo intelligente, così di quanta intelligenza si componga la stupidità. Ed ancora: è davvero così intelligente chi riteniamo tale? Magari solo per astuzia, per capacità di districarsi dal problemino e addossarlo a qualcun altro? Il momento paradossale dal punto di vista emotivo, sociale che viviamo ci porta a considerare la sensibilità, la cura dell’altro come una debolezza e l’egoismo quale segno di forza e potere. E non serve certo tornare al principio di cultura greca del καλὸς καὶ ἀγαθός, (kalòs kai agathòs), cioè “bello e buono” per comprendere la non casualità di questa associazione tanto viscerale. Eppure siamo portati a ritenere i cosiddetti ‘cattivi’ come i più astuti – non intelligenti! – poiché completamente privi di quell’affettività che può renderli umanamente fragili. Ma nessuno ha mai detto o dimostrato che la forza reale, consista nell’autismo emotivo cui siamo odiernamente sottomessi. Non entrare in empatia con l’altro, questa sì è vera stoltezza: questo sì, è una vera e propria conferma di assenza d’intelletto. Nessuno ha mai detto che il bene significhi debolezza: questo è il pensiero forse dei meschini, degli inetti che si rifugiano nell’odio, nel male per un’illusoria sensazione di forza – che dura un istante e li fa vivere in un continuo stato d’ansia e frustrazione. Qualcuno, in questo caso Martin Luther King, ha detto invece: “lasciate l’odio a coloro che sono troppo deboli per amare”. Ecco perché siamo chiamati al dovere di aver compassione, anche e soprattutto di chi ci odia, di chi vive male per il male che ha dentro: questa l’apologia dei “troppo furbi e dei cretini di ogni età”.