Aldilà della moda e della predominante cultura anglosassone, la tendenza all’uso di termini inglesi, oltre che cozzare con la bassa conoscenza italiana delle lingue straniere, genera incongruenze semantiche dettate da una ristretta capacità interpretativa e da una volontà di attuare un perdurante inganno.
Prendiamo, ad esempio, la figura del “navigator”, sorta di anglicismo superfluo e fuorviante, mutuata da uno studio di Mimmo Parisi, docente di statistica applicata e sociologia alla Mississippi State University. La presentazione – in pompa magna del “facilitatore-de-noi-altri” è stata lanciata come un “kick off”, molto più comunemente “calcio d’inizio”, scatenando un interrogativo generale sui destinatari e sulle conseguenze (ci auguriamo non dolorose…) di questo presunto calcio.
Le ragioni alla base del Reddito di Cittadinanza, il cui nome farebbe pensare a un trasferimento universalistico, celano in realtà il pericoloso sviluppo di una “dipendenza” dal beneficio dello strumento generando vane aspettative di ingresso nel mondo del lavoro. Una storia già vista con i lavori socialmente utili. In un’epoca in cui l’uscita dal lavoro per ragioni pensionistiche ha prodotto circa 100.000 posti vacanti nel settore sanitario tra operatori sanitari e medici e circa 170.000 tra addetti alla sicurezza (forze dell’ordine, vigili del fuoco, vigili urbani, della protezione civile ecc.), senza che questi vuoti siano stati colmati da altrettante assunzioni, le proposte per uscire dalla crisi occupazionale paiono risultare strumenti deboli nel disegnare strategie di attivazione, inefficaci da un punto di vista storico, lacunose nello schema di incentivazione monetaria e destinate a produrre sull’occupazione l’effetto opposto di quello desiderato, con uno spreco ingente di risorse pubbliche.
Siamo lontani dallo storico passo in avanti compiuto dalla “passionaria” Tina Anselmi, nel 1977, con la legge 285, che produsse un incremento dell’occupazione partendo dall’assioma che l’importanza del lavoro rappresenti un veicolo per l’affrancamento dalla condizione di indigenza e di privazione materiale. Pur accettando pacificamente che l’attivazione lavorativa non debba essere il principale obiettivo di uno strumento di contrasto alla povertà.
L’enfasi della politica e delle istituzioni sta adottando un metodo che è esso stesso fonte di possibile inganno, accompagnando le proprie vittime – i giovani stessi – su di un percorso che, fino ad oggi, sembra non andare al di là di una analisi superficiale e fuorviante delle proposte.