Il diritto-dovere di difendere il sistema Italia
L’ipotesi di una fusione tra Unicredit e Monte Paschi è stato il casus belli che ha fatto esplodere un contrasto insanabile di strategia tra il consiglio di amministrazione di Unicredit e il suo amministratore delegato, Mustier, costretto a dimettersi.
Delle qualità professionali del manager francese scrive molto bene su queste pagine Elena Ruo.
Si potrebbero discutere alcune delle operazioni che hanno caratterizzato la sua gestione iniziata con uno straordinario aumento di capitale di 13 miliardi di euro e sviluppata con la vendita di gioielli di famiglia come Pioneer e Fineco, la cessione di Bank Pekao e di Yapi Kredi Bank e la dismissione della quota del 9% in Mediobanca.
Mustier, con un pedigree più di uomo della finanza che di banca, aveva un piano che ha destato perplessità e anche sospetti: scorporare le attività italiane da quelle estere per quotare queste ultime a Francoforte. La strategia era chiara: non investire in Italia, non puntare ad acquisizioni di banche italiane.
Secondo molti osservatori questa visione aveva come possibile corollario la fusione di Unicredit con colossi stranieri come la tedesca Commerzbank o le francesi Société Géneral e Crédit Agricole. Una eco autorevole di questi sospetti è contenuta nella relazione del COPASIR approvata il 5 novembre scorso che a proposito di Unicredit afferma: “A parere del Comitato, le iniziative da parte di attori esteri su entità strategiche per la sicurezza economica nazionale rappresentano un rischio di particolare rilevanza per il sistema bancario e del pubblico risparmio, atteso che, oltre a pregiudicarne l’indipendenza, le stesse potrebbero determinare una forte asimmetria tra l’area di raccolta delle risorse finanziarie (3) (Italia) e quella di impiego delle stesse (estero). Infatti, pur continuando a provenire dalle famiglie e dalle imprese italiane, le risorse raccolte da UniCredit potrebbero essere impiegate per finanziare territori e sistemi produttivi esteri. In aggiunta, una sostanziale contrazione delle attività bancarie svolte da UniCredit in Italia, ovvero una progressiva riduzione degli investimenti effettuati dal gruppo in titoli di Stato italiani, potrebbero produrre un impatto negativo per il nostro Paese.”
Di fronte ad una tale presa di posizione dell’organismo parlamentare che vigila sull’intelligence non si poteva restare con le mani in mano. Il Governo deve salvaguardare l’interesse nazionale con tutti gli strumenti legali e anche con una moral suasion che intervenga prima che decisioni, anche di aziende private, possano colpire al cuore parti essenziali del sistema Italia come quello creditizio.
Quando il Tesoro investì 5,3 miliardi per salvare MPS molti si stracciarono le vesti, ma senza quell’intervento la banca sarebbe fallita con conseguenze devastanti. Purtroppo i mali cronici di MPS non sono stati guariti e il Governo ha deciso di cedere i crediti deteriorati, preludio ad una cessione delle quote possedute dal MEF e a una vendita ai privati.
Ovvio che il Governo non può obbligare nessuno ad acquistare MPS. Altrettanto ovvio è che non può restare a guardare se una Banca italiana esclude di fare acquisizioni in Italia ma punta a farle all’estero. C’è una logica di sistema-Paese di cui deve sempre tenere conto chi opera in settori vitali per l’economia. E il Governo non può essere uno spettatore neutrale. Deve tutelare l’interesse nazionale.