“Anche per noi tutto è cominciato con la grazia di Dio”. Con il dono che il Padre: “ha messo nelle nostre mani”. Nell’avvicinarsi del Natale l’invito del Papa a chiederci: “cosa dare e non cosa comprare”. Per la IV Giornata mondiale dei poveri celebrata domenica scorsa e raccontata dal Vaticano da Adriana Masotti, Papa Francesco ha scelto per parlare del bene della vita e del servizio verso i poveri la parabola dei “Talenti” tratta dal Vangelo secondo Matteo.
Nella Omelia, il Santo Padre ha illustrato il racconto dei servi a cui il padrone affida le sue ricchezze perché, in sua assenza, le facciano fruttare.
“All’inizio”, spiega il Papa, “c’è un grande bene, il gesto del padrone che “non tiene per sé le sue ricchezze, ma le dà ai servi”, a ciascuno secondo le sue capacità.
“Siamo portatori di una grande ricchezza”, ha spiegato il Papa, “che non dipende da quante cose abbiamo, ma da quello che siamo: dalla vita ricevuta, dal bene che c’è in noi, dalla bellezza insopprimibile di cui Dio ci ha dotati, perché siamo a sua immagine, ognuno di noi è prezioso ai suoi occhi, unico e insostituibile nella storia! Quant’è importante ricordare questo: troppe volte, guardando alla nostra vita, vediamo solo quello che ci manca. Allora cediamo alla tentazione del “magari!…”: “magari avessi quel lavoro, magari avessi quella casa, magari avessi soldi e successo, magari non avessi quel problema, magari avessi persone migliori attorno a me!…”
“Pensando in questo modo”, prosegue Papa Francesco, “non vediamo il bene che abbiamo e i doni che Dio ci ha fatto fidandosi di noi, sperando che ciascuno possa utilizzare quanto ha ricevuto impegnando bene il tempo presente, invece che perderlo in inutili nostalgie che avvelenano l’anima, che ci fanno guardare sempre agli altri e non alle possibilità di lavoro che il Signore ci ha dato”.
E quello che fa fruttare i talenti ricevuti “è l’opera dei servi”, prosegue Papa Francesco, “cioè il servizio”. E ripete più volte “non serve per vivere chi non vive per servire. E’ il servizio, infatti, che “dà senso alla vita”, ma, si domanda il Papa, qual è lo stile del servizio?
“Nel Vangelo i servi bravi sono quelli che rischiano. Non sono cauti e guardinghi, non conservano quel che hanno ricevuto, ma lo impiegano. Perché il bene, se non si investe, si perde; perché la grandezza della nostra vita non dipende da quanto mettiamo da parte, ma da quanto frutto portiamo. Quanta gente passa la vita solo ad accumulare, pensando a stare bene più che a fare del bene. Ma com’è vuota una vita che insegue i bisogni, senza guardare a chi ha bisogno! Se abbiamo dei doni, è per essere doni”.
Il Papa aggiunge a braccio: e qui, fratelli e sorelle, ci facciamo la domanda: “Io seguo i bisogni, soltanto, o sono capace di guardare a chi ha bisogno? A chi è nel bisogno?”.
“La fedeltà dei servi, in questa parabola, corrisponde alla capacità di rischiare, perché essere fedeli a Dio vuol dire lasciarsi sconvolgere la vita dalle esigenze del servizio”. E Francesco prosegue: “È triste quando un cristiano gioca sulla difensiva, attaccandosi solo all’osservanza delle regole e al rispetto dei comandamenti”. Nella vita cristiana non basta non commettere errori e vivere senza “iniziativa e creatività”, afferma ancora il Papa, “non basta non fare nulla di male seppellendo il dono ricevuto, come il servo pigro che Gesù chiama addirittura ‘malvagio’. E prosegue: Non è stato fedele a Dio, che ama spendersi; e gli ha recato l’offesa peggiore: restituirgli il dono ricevuto. Tu mi hai dato questo, io ti do questo”, niente di più. “Il Signore ci invita invece a metterci in gioco generosamente, a vincere il timore con il coraggio dell’amore, a superare la passività che diventa complicità. Oggi, in questi tempi di incertezza, e in questi tempi di fragilità, non sprechiamo la vita pensando solo a noi stessi, con quell’atteggiamento dell’indifferenza. Non illudiamoci dicendo: “C’è pace e sicurezza!”, San Paolo ci invita a guardare in faccia la realtà, a non lasciarci contagiare dall’indifferenza”.
Il Vangelo non si capisce senza i poveri. “I poveri sono nella stessa personalità di Gesù, che essendo ricco annientò sé stesso, si è fatto poveri, si è fatto peccato – la povertà più brutta. I poveri ci garantiscono una rendita eterna e già ora ci permettono di arricchirci nell’amore. Perché la più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore.
Tendere la mano a chi ha bisogno, essere operosi nell’amore come la donna descritta nella prima Lettura tratta dal Libro dei Proverbi, invece che desiderare ciò che ci manca”, afferma il Papa, “è ciò che moltiplica i beni ricevuti. E in riferimento a quanto vivremo prossimamente aggiunge:
Si avvicina il tempo del Natale, il tempo delle feste. Quante volte, la domanda che si fa tanta gente: “Cosa posso comprare? Cosa posso avere di più? Devo andare nei negozi […] a comprare”. Diciamo l’altra parola: “Cosa posso dare agli altri, per essere come Gesù, che ha dato sé stesso e nacque proprio in quel presepio?”.
Chi non fa così spreca la sua vita e alla fine “resterà povero”:
“Alla fine della vita, insomma, sarà svelata la realtà: tramonterà la finzione del mondo, secondo cui il successo, il potere e il denaro danno senso all’esistenza, mentre l’amore, quello che abbiamo donato, emergerà come la vera ricchezza. Se non vogliamo vivere poveramente, chiediamo la grazia di vedere Gesù nei poveri, di servire Gesù nei poveri”.