Il Presidente Gian Carlo Caselli in una lettera al Corriere della Sera (“Nuova mafia, il 416-bis va aggiornato”, lunedì 22 giugno 2020, pag. 30) tratteggia la nuova mafia: «meno violenza, invece dell’abito “militare” il doppio petto… un sottile “arruolamento” di persone colte e preparate… con accesso ai salotti “buoni” e continua espansione della “zona grigia”». Da qui, muovendo dalla constatazione indubbia che l’introduzione dell’art. 416-bis del codice penale – la norma approvata sull’onda dell’indignazione per gli omicidi La Torre e Dalla Chiesa, che prevede dure condanne per la sola partecipazione all’associazione di mafia, di ‘ndrangheta, di camorra e simili – ha rappresentato uno spartiacque nella considerazione del fenomeno, propone un “aggiornamento”, «un tagliando normativo… chiedendosi appunto se la normativa vigente, pur adatta a colpire la “vecchia mafia”, sia idonea a contrastare sempre ed efficacemente anche la “nuova”».
Invito che, non essendo legato ad una emergenza, è passato quasi inosservato: ma che, al contrario, proprio per questo suo non essere derivato da un’emozione, dovrebbe essere colto, consentendo una riflessione non condizionata da specifici episodi.
La constatazione da cui muove la proposta del Presidente Caselli è esatta e, credo, percepibile anche da un semplice cittadino.
Per una riprova del differente atteggiamento, quella dismissione degli “abiti militari”, è sufficiente scorrere i dati sugli omicidi. Ho davanti a me la tabella della “ricerca Barbagli-Minello” dall’archivio del Ministero dell’interno, dalla quale, relativamente alle tre regioni maggiormente interessate dal fenomeno mafioso ricavo i seguenti dati:
Sicilia, ogni 100.000 abitanti: 9,7 omicidi nel 1991, 0,7 nel 2016;
Calabria, ogni 100.000 abitanti: 13,4 omicidi nel 1991, 1,1 nel 2016;
Campania, ogni 100.000 abitanti: 6,7 omicidi nel 1991, 1,4 nel 2016;
con un ulteriore decremento negli ultimi tre anni, stando a report annuali.
Occorre veramente guardare con occhi nuovi al problema.
Avvocati penalisti e pubblici ministeri dell’antimafia possono offrire il loro contributo e la loro esperienza, essendo certamente in prima fila davanti al fenomeno.
Ma devono spogliarsi, nell’analisi, dal loro ruolo che li pone in posizioni opposte e preconcette, con finalità differenti, superando la naturale contrapposizione processuale.
Qui il secondo contributo che vorrei dare: da semplice cittadino, ovviamente, non avendo competenze specifiche e col massimo rispetto per il Presidente Caselli (per inciso il primo contributo dato è averne colto l’invito, rilanciato dalla mia modestissima tribuna).
Il dubbio che vorrei sollevare è relativo al modo con cui si lotta il fenomeno criminale: che è solamente processuale.
Modo che ha portato nei quasi quaranta anni dall’introduzione del 416-bis a migliaia (forse decine) di processi e condanne, ma non ha neppure scalfito il fenomeno in sé.
L’ha fatto cambiare; e la mafia, attuata la necessaria metamorfosi, è la cosa diversa oggi delineata dal Presidente Caselli.
È compito della politica ora individuarne e delinearne i comportamenti attuali e valutarli.
Descrivendo con precisione chirurgica quelli ritenuti criminali, perché non devono più esistere “zone grigie”: ma solo zone bianche o zone nere proprio per la salvaguardia dei cittadini onesti, i quali devono sapere con certezza se rischiano di entrare in un’area criminale: nella quale oggi si può cadere anche inconsapevolmente.
L’attuale zona “grigia” è quella delle interdittive antimafia e degli scioglimenti di enti pubblici per infiltrazioni mafiose: uno strumento, a mio sommesso avviso, messo in mano alla mafia, che credo così evoluta da stare mille miglia lontana da un’amministrazione o da un’impresa “amica” e da fare emergere, invece, “contatti” quando voglia togliere di mezzo un concorrente o far sciogliere un Comune.
Anch’esso da rimeditare, comunque, esatte o sbagliate le mie considerazioni.
La più efficace politica antimafia è quella di offrire un’alternativa ed una prospettiva di lavoro (non l’inutile elemosina del reddito di cittadinanza) ai giovani: che, in mancanza, vengono attirati nelle spire criminali con pochi spiccioli e con una lusinga di potenza; e a non lasciare spazi all’usura, che trova nelle rigidi e solo formali segnalazioni bancarie, praterie aperte al riciclaggio.
Si dovrebbe ancora, piuttosto che a solo punire posteriori, pensare a come non fare svolgere l’attività mafiosa: magari con un uso esplicito e sfacciato, nei confronti dei mafiosi riconosciuti e dei loro frequentatori abituali, della tecnologia elettronica che può consentire fortissime restrizioni anche fuori dal carcere.
E che, forse, potrebbe impedire più reati, di quanto può fare la minaccia di sanzioni anche terribili.
Ma, soprattutto, potrebbe essere – in prospettiva, certo – molto scoraggiante.