«L’avevo detto che bisognava evitare di andare in piazza… Ora è il momento di stare uniti e di stringersi attorno alle istituzioni». La bocciatura di Silvio Berlusconi, che prende le distanze dalla manifestazione del 2 giugno del centro-destra (in realtà, dal centro-destra a guida Salvini-Meloni), non giunge nuova. Anzi. E’ il risultato, l’ultimo atto di una puntata, di una lunga storia che parte da lontano.
Peccato che Fi non abbia la forza elettorale-numerica per smarcarsi realmente dal fronte sovranista, nel nome del vecchio Dna dello schieramento: un polo liberale, cristiano, moderato di massa; schema inventato dal Cavaliere nel 1994. E poi, evaporato parallelamente allo sgretolamento di Arcore.
Ma i fatti parlano chiaro. Nella decomposizione e ricomposizione del centro-destra sono tutti divisi.
Berlusconi, non è una novità, pensa a un governo di unità nazionale e quindi, le parole di Conte ieri, sono state in linea con la sua strategia. Un momento costituente “cogestito”, in cui l’emergenza sanitaria, la ripresa economica, la stratificazione degli interessi della sua famiglia e delle sue aziende, possano coincidere “virtuosamente”.
Gli stati generali dell’economia, annunciati dal premier in pompa magna, se da un lato servono a blindare la maggioranza giallorossa, allungando i tempi di una inevitabile resa dei conti (sulle responsabilità e inadempienze della Fase-1 e 2), dall’altro, offrono l’occasione a tutte le parti politiche e sociali, di giocare la loro partita.
Ed è ovvio che i dissapori antichi nel centro-destra siano riaffiorati.
“Il Paese deve essere unito, bisogna mettere insieme le migliori energie per sedersi intorno a un tavolo e costruire un progetto comune che guardi al futuro, alla rinascita”: un programma che Silvio ha girato a Palazzo Chigi. Come dire, eccomi, la mia sponda c’è.
E non a caso i giornali del partito unico giornalistico (Stampa-Corriere-Repubblica), strutturalmente orientato verso un governo di unità nazionale (Draghi), con dentro pure Fi, e fuori Conte, ha esultato. I suoi artefici e ascari hanno ottenuto due risultati: indebolire Salvini e Conte e imbarcare gli azzurri.
Ma se Berlusconi è insofferente, il duo Salvini-Meloni, non gongola.
La manifestazione del 2 giugno a Roma e non solo, ha appalesato e confermato l’attuale vulnus sovranista, la debolezza della sua comunicazione di fronte ai numeri e ai dati della Ue (il Recovery Found), l’ambiguità di scelte che non sono né carne, né pesce, la competizione crescente tra Lega e Fdi. Tutte tematiche che un’altra piazza, ancora più becera e populista (quella dei gilet arancioni) gli sta scippando di mano (no euro, no vaccini, no app Immuni, no prestiti a debito, no 5g).
Per non parlare della violazione delle norme sulla protezione, l’anti-assembramento che ha infastidito l’elettore più moderato.
E il prossimo 4 luglio, quando il centro-destra dovrà affrontare l’appuntamento del Circo Massimo, in piena libertà fisica, quale situazione ci sarà?
Berlusconi aderirà, o continuerà a svolgere un ruolo autonomo? Manderà i soliti Tajani e Bernini a mediare? Ma pure per il Cavaliere non sarà facile. Il centro a cui lui aspira è assai inflazionato. Renzi, Calenda e lo stesso Conte ci hanno fatto un pensierino. Da mesi.
(Lo_Speciale)