0

Democrazia e coercizione illiberale. Il futuro si tinge di distopie

La Signoria Tecnocratica
lunedì, 6 Ottobre 2025
5 minuti di lettura

Il concetto di Signoria Tecnocratica può essere inteso come una forma di dominio in cui la legittimità del potere non si fonda sul consenso democratico né sulla tradizione, bensì su una commistione tra autorità del sapere tecnico-scientifico e proprietà degli spazi pubblici divenuti virtuali. Tale paradigma affonda le sue radici nella storia del pensiero politico, ma assume caratteristiche peculiari nell’epoca contemporanea, segnata dalla centralità delle infrastrutture digitali e dalla governance algoritmica.

Sul piano teorico, la radice platonica è evidente. Nella Repubblica, Platone afferma che solo i filosofi, conoscitori del Bene, sono degni di governare (Platone, Repubblica, VI, 484°–487°). La Signoria Tecnocratica riprende questa struttura, sostituendo però la filosofia con la scienza applicata, dove l’ AI rappresenta l’archetipo del superamento della fallibilità umana: l’autorità politica si legittima attraverso la presunta garanzia di razionalità e giustizia. Tale logica, tuttavia, esclude la cittadinanza e potenzialmente l’ uomo, dal processo deliberativo e riduce la politica a sapere riservato a un’élite epistemica. Insomma se il filosofo platonico era garante del Bene, il tecnico contemporaneo è garante dell’efficienza. Ma mentre Platone immaginava un sapere orientato alla giustizia, la tecnocrazia attuale sembra orientata alla funzionalità, alla performance, alla previsione. L’AI diventa il nuovo “filosofo-re”, ma senza etica: un decisore impersonale, che promette imparzialità ma rischia di escludere la dimensione umana del conflitto, del dubbio, della deliberazione.

Max Weber, nella sua analisi della burocrazia, individuava nella razionalità formale il tratto costitutivo del potere moderno (Economia e società, 1922). Tuttavia, già in questa forma, l’efficienza amministrativa produceva quella che Weber definì la stahlhartes Gehäuse, la “gabbia d’acciaio”, in cui l’individuo resta imprigionato. La tecnocrazia si configura come radicalizzazione di tale logica: la nuova gabbia di acciaio è sostituita da una rete invisibile di protocolli e algoritmi. Non è più il funzionario che decide, ma il sistema che lo precede e lo guidai, in un contesto dove il potere decisionale non si forma più nei parlamenti.

Habermas offre una critica ulteriore. Nella Teoria dell’agire comunicativo (1981) e in Fatti e norme (1992), egli sottolinea come la legittimità democratica derivi da processi di deliberazione pubblica, fondati sulla comunicazione orientata all’intesa. Laddove il potere tecnico-amministrativo invade la sfera pubblica, si verifica quella che Habermas chiama la “colonizzazione del mondo vitale”: la logica strumentale sostituisce la discussione razionale, riducendo la cittadinanza a mera utenza passiva.

La particolarità della Signoria Tecnocratica contemporanea è che il decisore non coincide più con l’attore politico istituzionale, ma con il gestore della piattaforma digitale e dagli apparati dello Stato che però proprio per la complessità della costruzione democratica statale (pluralità di Organi e divisione dei Poteri), rischiano di soccombere nel confronto con poteri molto accentrati tipici del modello privatistico. È il proprietario o amministratore dell’infrastruttura a stabilire le condizioni stesse del dibattito pubblico, governando tanto il consenso quanto il dissenso.

Il consenso viene gestito attraverso algoritmi di raccomandazione e sistemi di profilazione che orientano preventivamente opinioni e comportamenti, producendo una forma di adesione che non nasce dal confronto, ma dalla modulazione invisibile della visibilità informativa. Il dissenso, a sua volta, non viene necessariamente represso, ma neutralizzato: declassato nei ranking algoritmici, reso invisibile, marginalizzato o ricodificato come non attendibile. Non solo può essere veicolato in forme di protesta violenta e persino con il carattere della rivoluzione. Non si assiste dunque a una censura diretta, bensì a un governo della visibilità, in cui ciò che può circolare nello spazio pubblico dipende da logiche opache di filtraggio e selezione.

In questo modo, la Signoria Tecnocratica non si limita a sostituire la deliberazione politica con l’autorità tecnica che discende dalla proprietà, ma ridefinisce i confini stessi del dicibile e del pensabile. Essa realizza un potere “meta-politico” (pensiamo alla gestione della pandemia da parte delle piattaforme digitali, o i casi di shadow banning).: non decide solo cosa è vero o utile, ma anche quali opinioni possono emergere nello spazio pubblico e quali debbano essere confinate ai margini. Si tratta, in altri termini, di una forma di sovranità che può essere “dolce” quanto “violenta”, perché pervasiva e più radicale del Leviatano hobbesiano: si impone attraverso la modulazione dei flussi informativi.

In conclusione la Signoria Tecnocratica rappresenta una sfida radicale alla democrazia contemporanea. La competenza tecnica costituisce senza dubbio una condizione necessaria per affrontare i problemi complessi delle società globali, ma non può sostituire il principio di legittimazione derivante dal confronto deliberativo e pluralistico. Eppure la politica cede il passo alle nuove Signorie e trasforma i cittadini in sudditi digitali, dove alle piazze si sostituiscono social e forum, dove il pensiero non è solo affidato all’ algoritmo, ma ad un algoritmo che può essere manipolato in un contesto opaco per influenzare il consenso o il dissenso attraverso un pensiero reso visibile e uno che è consegnato all’ oblio perché filtrato ab origine. Tutto questo pone un problema alla democrazia, perché gli spazi di partecipazione sono ormai virtuali e l’ insoddisfazione può essere opportunamente veicolata su questioni diverse. Ovviamente il limite della realtà non può essere ignorato all’ infinito, ma l’ esplosione del dissenso, se inevitabile, verrà sempre governata dai nuovi Signori (la pluralità dell’ ecosistema digitale) che rimangono di fatto decisori occulti. Il fenomeno è già in atto con un ulteriore rischio. Questi Nuovi Signori sono rappresentati dal Tecno Capitalismo e potrebbero essere più interessati al profitto che alla legittimità del processo decisionale o alla sua salvaguardia. In questo vuoto potrebbe inserirsi sempre più una delega implicita all’intelligenza artificiale ritenuta più imparziale e meno fallibile nell’interpretare le istanze sociali. Uno scenario quest’ ultimo, da incubo, perché l’ uomo e la società verrebbero definiti attraverso il parametro di ciò che funziona. Ma l’AI, per quanto sofisticata, almeno al momento, non può sostituire la politica, perché non può decidere cosa è giusto. Ecco che allora si realizza un ulteriore filtro rispetto al decisore. Insomma il rischio della Signoria Tecnocratica è che la politica perda la sua funzione deliberativa e si trasformi in un mero spazio gestito da poteri privati e pubblici (gli apparati), con l’illusione di neutralità algoritmica.

A parte gli scenari più inquietanti, la questione fondamentale resta dunque quella posta sin dall’antichità: chi decide che cosa è giusto? E chi è il decisore in un mondo dove il consenso si forma attraverso il filtro dei flussi informativi?

L’ AI è il Capitalismo digitale sono un futuro ineludibile e portano con sé anche progresso, ad esempio sociale attraverso migliori servizi, ma sono fenomeni così pervasivi che devono essere inseriti in una logica di equilibrio di potere e meccanismi di vigilanza statali, che oggi invece sono inadeguati, proprio perché la politica stenta a comprendere il fenomeno, soprattutto nel ritardo del panorama digitale europeo, che si trova nudo di fronte a un Orizzonte tecnologico diviso tra Cina e Stati Uniti (basti pensare alla vicenda di Tik Tok). Qui si gioca la sfida del futuro: non rifiutare il progresso, ma governarlo per evitare che diventi un incubo tecnocratico, dove gli spazi democratici sono alterati e l’uomo viene ridotto a parametro di efficienza. Infine non si deve sottovalutare che i sistemi democratici sono molto più vulnerabili di quelli autoritari che hanno il pieno controllo delle loro piattaforme digitali e possono utilizzarle nella formazione del consenso in patria come all’ estero.

Questa riflessione potrebbe sembrare una pura speculazione filosofica, ma è molto di più perché potrebbe rappresentare una trasformazione della legittimità del potere. Non intervenire con dei correttivi, magari per puro opportunismo politico, potrebbe rivelarsi un errore fatale, perché queste trasformazioni, non sono mai indolori e possono produrre aggregazioni resistenti in potenza sempre più radicali fino a sfociare in fenomeni di vero e proprio terrorismo ideologicamente motivato.

Paolo Falconio

Paolo Falconio

Membro del Consejo Rector de Honor e conferenziere de la Sociedad de Estudios Internacionales (SEI)

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo modulo raccoglie il tuo nome, la tua email e il tuo messaggio in modo da permetterci di tenere traccia dei commenti sul nostro sito. Per inviare il tuo commento, accetta il trattamento dei dati personali mettendo una spunta nel apposito checkbox sotto:

Potrebbero interessarti