Sulla Sanità pubblica interviene la Corte dei Conti, che analizza storture, limiti, approssimazioni, tagli, rischi, diseguaglianze di servizi sanitari tra Regioni. E ancora, medici che vanno via, la mancanza di infermieri, i ritardi per l’ammodernamento degli immobili e delle tecnologie. Un documento che suona come analisi dura delle cose che non vanno ma anche come piattaforma di indicazioni per ripartire. La relazione inizia con i problemi che con l’emergenza Covid 19 sono venuti tutti drammaticamente alla luce.
I giudici contabili entrano subito nel merito. “Riduzione della spesa pubblica per la sanità e crescente ruolo di quella a carico dei cittadini; la contrazione del personale a tempo indeterminato e il crescente ricorso a contratti a tempo determinato o a consulenze; la riduzione delle strutture di ricovero ospedaliere e l’assistenza territoriale e il rallentamento degli investimenti”. Sottolinea la Corte dei conti nel Rapporto sul Coordinamento della Finanza Pubblica che mette sotto un faro il Sistema sanitario nazionale.
“L’emergenza che il Paese”, scrivono i magistrati, “sta affrontando ha reso più evidente, ove ve ne fosse stato bisogno, l’importanza di poter contare su una assistenza sanitaria efficiente e in grado di rispondere a minacce rese più insidiose da un sistema economico sempre più aperto e globalizzato. Una esperienza che ne ha messo anche in rilievo punti di forza e debolezze, rendendo evidente l’ineludibilità di scelte che, al di là dell’emergenza straordinaria prodotta da “un nemico” inatteso, erano già di fronte a noi”. Il Rapporto della Corte dei conti è una analisi storica di ciò che è stato fatto, le modifiche attuate ad un sistema che aveva già problemi strutturali, aggravati dalle passate crisi finanziarie. La sanità pubblica ha subito un po’ di tutto, uno spostamento del peso economico socio sanitario sulle spalle dei cittadini, la riduzione del personale, i tagli della spesa. “La graduale riduzione della spesa pubblica per la sanità e il crescente ruolo di quella a carico dei cittadini; la contrazione del personale a tempo indeterminato e il crescente ricorso a contratti a tempo determinato o a consulenze; la riduzione delle strutture di ricovero ospedaliere e l’assistenza territoriale; il rallentamento degli investimenti”, scrivono i giudici, “Ne emerge un quadro molto articolato che non si presta a letture, a volte, eccessivamente semplificate”.
“È evidente”, fa presente la Corte, “che il successo registrato in questi anni nel riassorbimento di squilibri nell’utilizzo delle risorse non ha sempre impedito il manifestarsi di criticità, che oggi è necessario superare: si tratta delle differenze nella qualità dei servizi offerti nelle diverse aree del Paese; delle carenze di personale dovute ai vincoli posti nella fase di risanamento, ai limiti nella programmazione delle risorse professionali necessarie ma, anche, ad una fuga progressiva dal sistema pubblico; delle insufficienze dell’assistenza territoriale a fronte del crescente fenomeno delle non autosufficienze e delle cronicità; del lento procedere degli investimenti, sacrificati a fronte delle necessità correnti”. Nella relazione c’è un ampio capitolo che getta uno sguardo al futuro, quando la situazione sarà ancora più problematica. Ci saranno nuove questioni da affrontare come il crescente invecchiamento della popolazione, il dimezzamento della forza lavoro, quindi per lo Stato meno entrate con la conseguente riduzione dei servizi. “Difficoltà rese, in prospettiva, più acute per il crescente squilibrio demografico e il conseguente onere destinato a gravare sui lavoratori.
È ben noto che tra soli 20 anni, guardando alle previsioni, il rapporto passerà a un pensionato ogni due persone in età da lavoro, diminuendo la ricchezza generata e le risorse pubbliche a disposizione a fronte di un aumento dei bisogni di salute e assistenza. Inoltre, il calo delle risorse disponibili per il pensionamento delle generazioni oggi più giovani suscita forti interrogativi sulla possibilità, anche in futuro, di porre a carico dei cittadini quote crescenti di spese sanitarie, e soprattutto sociosanitarie, non coperte dal SSN. Alla crescita di tale quota di consumi, solo in parte da ricondurre a difficoltà di accesso al servizio pubblico dovute a liste d’attesa o squilibri nel regime tariffario, ha contribuito l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei casi di non autosufficienza (che richiedono non solo assistenza nelle attività di vita quotidiana, ma anche una presa in carico delle patologie croniche sempre più diffuse) e una maggiore consapevolezza di quanto alcuni comportamenti siano correlati al mantenimento della salute. A ciò”, si mette in evidenza nel rapporto, “si è aggiunto e ancora più si aggiungerà del prossimo futuro, lo sviluppo delle cure innovative e della robotica, che aprono spazi nuovi per più efficaci modalità di cura”. Il rischio è quello di una Italia a diverse marce, con strutture e qualità della sanità nei territori, con offerte di servizi e prestazioni notevolmente diversi.
Situazione che per la Corte “rischia di accentuare le differenze tra cittadini, a seconda delle aree territoriali e delle condizioni economiche”. Non è da meno, di fronte a diseguaglianze così marcate, “interrogarsi su quali scelte adottare, ben sapendo che potenziare il finanziamento del sistema pubblico comporta di riconsiderare con attenzione il ricorso, finora risultato prevalente, a misure che implicano trasferimenti monetari diretti o minori prelievi fiscali. Ma anche considerando che l’esercizio di controllo della spesa che ha caratterizzato questi anni, all’interno di una dotazione di risorse per la garanzia dei livelli essenziali di assistenza decisa anche in rapporto ad altri obiettivi ritenuti in alcuni casi prevalenti, deve essere mantenuto proprio per evitare che, come accaduto in passato, inefficienze e cattiva gestione non consentano di tradurre l’aumento dei finanziamenti destinati al sistema sanitario in effettivi servizi al cittadino”. Ritorna così di fronte a tante storture, la proposta di un “Patto per la salute”, che può diventare il volano delle riforme: “la necessità di proseguire sul sentiero riproposto dal Patto della salute, sottoscritto lo scorso dicembre, per un potenziamento della capacità di programmazione della spesa a livello di comunità territoriali. A questo sono orientati i progetti avviati in questi anni, che possono contare su una quantità di informazioni e di conoscenze che fanno del sistema sanitario un elemento di punta nel quadro nazionale”. Il capitolo sul personale sanitario è per la Corte dei Conti il più significativo per comprendere gli errori commessi. In concreto, infatti, sono stato persi 41.400 lavoratori a tempo indeterminato. E di recente le cose sono a dare anche peggio. “Sono divenuti più evidenti gli effetti negativi di due fenomeni diversi”, osservano i giudici contabili, “che hanno inciso sulle dotazioni organiche del sistema di assistenza: il permanere per un lungo periodo di vincoli alla dinamica della spesa per personale e le carenze, specie in alcuni ambiti, di personale specialistico”. In questo contesto hanno avuto un ruolo anche le Regioni con in Piano di rientro e delle misure di contenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni (con il vincolo alla spesa), il personale a tempo indeterminato del Sistema sanitario è fortemente diminuito.
Nella relazione si inducano numeri significativi: al 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25.000 lavoratori (circa 41.400 rispetto al 2008). Tra il 2012 e il 2017 il personale (sanitario, tecnico, professionale e amministrativo) dipendente a tempo indeterminato in servizio presso le Asl, le Aziende Ospedaliere, quelle universitarie e gli IRCCS pubblici si è ridotto di poco meno di 27 mila unità (-4 per cento). Nello stesso periodo, il ricorso a personale flessibile, in crescita di 11.500 unità, ha compensato questo calo solo in parte.
In corsia si assiste poi ad un paradosso: tanti medici e pochi infermieri. L’analisi è fatta con una comparazione dell’Italia con i Paesi europei.
Il nostro Paese è in cima alle graduatorie europee: operano in Italia 3,9 i medici per 1000 abitanti contro i 4,1 in Germania, i 3,1 in Francia e i 3,7 in Spagna.
Diverso il caso del personale infermieristico dove, all’opposto, nel nostro Paese è molto inferiore alla media europea il numero degli operatori laureati e più limitati sono i margini di un loro utilizzo, nonostante il crescente ruolo che questi possono svolgere in un contesto di popolazione sempre più anziana.“Negli ultimi anni”, sottolinea il Rapporto, “inoltre, i vincoli posti alle assunzioni in sanità, pur se resi necessari dal forte squilibrio dei conti pubblici del settore, hanno aumentato le difficoltà di trovare uno sbocco stabile a fine specializzazione e un trattamento economico adeguato. Ciò è alla base della fuga dal Paese di un rilevante numero di soggetti: negli ultimi 8 anni, secondo i dati Ocse, sono oltre 9.000 i medici formatisi in Italia che sono andati a lavorare all’estero”. L’inefficienza ha prodotto una inadeguata assistenza territoriale che ha lasciato la popolazione senza protezioni.
La Corte evidenzia come la “crisi ha messo in luce anche, e soprattutto, i rischi insiti nel ritardo con cui ci si è mossi per rafforzare le strutture territoriali, a fronte del forte sforzo operato per il recupero di più elevati livelli di efficienza e di appropriatezza nell’utilizzo delle strutture di ricovero. Se aveva sicuramente una sua giustificazione a tutela della salute dei cittadini la concentrazione delle cure ospedaliere in grandi strutture specializzate riducendo quelle minori che, per numero di casi e per disponibilità di tecnologie, non garantivano adeguati risultati di cura. “Se fino ad ora”, precisa la Corte, “tali carenze si erano scaricate non senza problemi sulle famiglie, contando sulle risorse economiche private e su una assistenza spesso basata su manodopera con bassa qualificazione sociosanitaria (badanti), finendo per incidere sul particolare individuale, esse hanno finito per rappresentare una debolezza anche dal punto di vista della difesa complessiva del sistema quando si è presentata una sfida nuova e sconosciuta. È, infatti, sempre più evidente che una adeguata rete di assistenza sul territorio non è solo una questione di civiltà a fronte delle difficoltà del singolo e delle persone con disabilità e cronicità, ma rappresenta l’unico strumento di difesa per affrontare e contenere con rapidità fenomeni come quello che stiamo combattendo”. Le note dolenti sono chiare e suonano in modo duro contro una carenza di risorse che hanno provocato gravi conseguenze. “L’insufficienza delle risorse destinate al territorio ha reso più tardivo e ha fatto trovare disarmato il primo fronte che doveva potersi opporre al dilagare della malattia e che si è trovato esso stesso coinvolto nelle difficoltà della popolazione, pagando un prezzo in termini di vite molto alto”.
Rilanciare la sanitaria è possibile, anzi urgente e necessario ma servono investimenti e voglia di realizzare progetti. “Il vincolo finanziario ha inciso finora anche sugli investimenti”, rivela la Corte, “Come per il complesso delle Amministrazioni pubbliche, anche in sanità la riduzione dei nuovi investimenti ha fatto sì che dal 2012 la dotazione di capitale fisso si sia ridotta di poco meno dell’8 per cento”. Ci sono più anche vistosi ritardi e inadempienze sulla allocazione delle risorse per rinnovare il patrimonio edilizio e tecnologico.
“Se ne ha una evidenza”, precisa la Corte, “guardando al procedere nell’attuazione della legge 67/1988 (articolo 20), che rappresenta ancora il principale strumento di intervento per la riqualificazione del patrimonio edilizio e tecnologico pubblico e la realizzazione di residenze sanitarie assistenziali, così come agli interventi specifici che si sono aggiunti ad esso negli anni. Sono numerose le Regioni che non hanno ancora definito progetti di intervento per una quota significativa delle risorse destinate”. Sui conti i giudici ricordano che la spesa sanitaria va tenuta sotto controllo. In particolare la spesa farmaceutica. Nel 2019, la spesa sanitaria ha raggiunto i 115,4 miliardi, con un incremento dell’1,4 per cento rispetto al 2018. “Ciò”, sollecita in conclusione la Corte, “richiede sia mantenuta una attenta verifica sulla qualità della spesa. Le misure poste a presidio dell’efficacia e dell’efficienza della spesa fanno sì che le scelte da assumere oggi poggino su una situazione finanziaria di fondo migliore del passato”.