lunedì, 21 Luglio, 2025
Attualità

Non bistrattiamo la storia e la geografia

Tutte le strade partono da Roma, con la sua storia, la sua geografia e le sue scienze

Ugo Leone (Napoli 1940) – già professore ordinario di Politica dell’ambiente presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Napoli ‘Federico II’, autore di numerose pubblicazioni sui temi dell’ambiente e del rischio, nonché responsabile della rivista “Ambiente Rischio Comunicazione”, – esordisce nel suo libro, dal titolo di cui sopra, dicendo che “Storia e geografia sono state per decenni un’accoppiata scolastica. Due saperi, due discipline scolastiche, anche un po’ trascurate, per le quali si riusciva generalmente a strappare la sufficienza 6 e 6. Tanto la storia che cos’era se non una cronologia di eventi? E la geografia un elenco di capitali, fiumi, monti e mari?”

Il piccolo principe e il geografo

Chi sono i geografi se lo chiese proprio lo scrittore Anroine de Saint-Exupéry (1900/1944) nel suo romanzo “Il piccolo principe” quando arrivò sul sesto pianeta abitato da un vecchio signore che scriveva degli enormi libri, il quale gli disse di essere un Geografo “è un sapiente che sa dove si trovano i mari, i fiumi, le città, le montagne e i deserti.” “È molto interessante” disse il piccolo principe, “questo finalmente è un vero mestiere!” Nei capitoletti successivi (nel 15º) il vecchio saggio spiega che un geografo per riempire di dati ed elementi i suoi libri si serve di esploratori che riceve “li interroga e prende degli appunti sui loro ricordi. E se i ricordi di uno di loro gli sembrano interessanti, il geografo fa fare un’inchiesta sulla moralità dell’’esploratore. Poiché se l’esploratore mentisse porterebbe una catastrofe nei libri di geografia.”

La catastrofe annunciata o che si poteva evitare

“La catastrofe, appunto, è quella che può derivare dall’ignoranza dei contenuti di una scienza la quale, insieme con altre abbastanza contigue come per esempio la geologia che ha la stessa radice che vuol dire ‘terra’, ha molto da insegnare al di là della conoscenza di un fiume, monti e capitali. E questa ignoranza, come diceva Italo Calvino, che non mi stancherò mai di citare, l’ignoranza del paese che governano, che gli uomini di governo si tramandano dal Risorgimento in poi arrivando ad auspicare l’insegnamento obbligatorio della Geografia per Ministri e Sottosegretari. E quella ignoranza ce la troviamo, ma pochi se ne rendono conto, l’indomani di una di quelle catastrofi naturali ‘annunciate’, come pure si usa dire, e che ‘si poteva evitare’. Se ne sarebbero potuto evitare non poche o per lo meno limitare danni e vittime conoscendo, come un geografo potrebbe insegnare, quali sono le caratteristiche e la vulnerabilità del Paese nel quale risiedono circa sessanta milioni di persone. Anni fa ce lo dimostrò una ragazzina che salvò centinaia di persone dallo tsunami nelle Filippine invitandoli ad andarsene in collina come aveva insegnato il suo insegnante in una lezione di geografia.”

Club di Roma

Nella primavera del 1968 l’economista Aurelio Peccei (1908/1984) e il direttore scientifico pro-tempore, de l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), lo scozzese Alexander Kingston, insieme a un gruppo di scienziati, si riuniscono presso la prestigiosa Accademia dei Lincei a Trastevere per darsi una risposta alla seguente domanda: “Siamo sicuri che questo modello di sviluppo, che mette il denaro e i consumi davanti a tutto, sia sostenibile”?
Da tale incontro nasce il “Club di Roma” che dal 1970 inizia a lavorare affidando a un gruppo di giovani scienziati del M.I.T. (Massachusetts Institute of Technology) di Boston il compito di rispondere a quella domanda esistenziale, nel senso che dalla risposta dipende la nostra esistenza. E mentre presso le Nazioni Unite nel 1972 stabiliscono la Giornata mondiale dell’ambiente nella data del 5 giungo, già qualche mese prima viene publicato il primo rapporto del Club, definito clamoroso, dal titolo “Limits to Growth” (Limiti allo Sviluppo). Per la prima volta vengono esaminate le diverse variabili del nostro abitare sul pianeta, dalla popolazione al cibo, alle risorse naturali, per concludere che esistono dei limiti allo sviluppo.

La Cop30 (Conference of the parties)

Siamo arrivati alla 30ª riunione delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), partendo dalla prima Conferenza di Rio de Janeiro nel 1992, nota anche come Accordi di Rio, tesa a stabilizzare le concentrazioni di gas-serra in atmosfera per evitare “dannose interferenze con il sistema climatico”. A tale convenzione, attualmente, aderiscono ben 196 Parti Contraenti.
La Cop30, come stabilito dall’ONU, si terrà dal 10 al 21 novembre prossimo a Belem, nello Stato del Paranà, in Brasile. Sarà concordato come intensificare l’azione globale al fine di risolvere la crisi climatica ed esaminare i progressi compiuti in relazione agli impegni assunti nel quadro dell’accordo di Parigi del 2015 che ha posto i termini per il cercare di avversare il surriscaldamento del Pianeta.
Dalle precedenti Cop sono emersi, quasi sempre, buoni propositi proiettati nel futuro insieme a linee guida; ma principi e soluzioni sono stati lasciati, spesso, alla discrezionalità dei singoli Paesi. Mentre le economie green, di fatto, hanno evidenziate lacune, controindicazioni, concause e concorrenze anche sleali. Ma si continua a credere e a investire sulla transizione ecologica ed energetica, anche con un occhio rivolto al nucleare.

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