Il 15 luglio 1975, in piena Guerra Fredda, due navette partirono da lati opposti del mondo: l’Apollo 18 dagli Stati Uniti e la Soyuz 19 dall’Unione Sovietica. Due giorni dopo, a 220 chilometri sopra la Terra, avvenne l’incontro storico: l’aggancio orbitale tra le capsule e la stretta di mano tra gli astronauti Thomas Stafford e Alexei Leonov segnò l’inizio di una nuova era di cooperazione spaziale. La missione Apollo-Soyuz fu il primo volo congiunto tra USA e URSS, frutto di anni di negoziati e di un accordo firmato nel 1972. Gli equipaggi si addestrarono insieme, superarono barriere linguistiche e culturali, e dimostrarono che la collaborazione era possibile anche tra rivali geopolitici. Durante le 44 ore di attività congiunta, gli astronauti condussero esperimenti scientifici, si scambiarono bandiere e messaggi di pace, e brindarono con tubetti etichettati “vodka” che contenevano in realtà borsch, in un gesto ironico e distensivo. L’evento fu trasmesso in diretta mondiale e accolto con entusiasmo da milioni di spettatori. Per la NASA fu l’ultima missione del programma Apollo, mentre per l’Unione Sovietica rappresentò un’apertura senza precedenti. Il successo tecnico dell’aggancio tra due sistemi spaziali diversi gettò le basi per future collaborazioni, come quella che porterà decenni dopo alla costruzione della Stazione Spaziale Internazionale. Oggi, a cinquant’anni da quel momento, la missione Apollo-Soyuz viene celebrata come un simbolo di diplomazia scientifica. In un’epoca in cui le tensioni spaziali tornano a farsi sentire, quell’abbraccio orbitale tra Stafford e Leonov ricorda che anche nello spazio, la cooperazione può prevalere sulla competizione.