Dopo vent’anni di attivismo, la Lega dei Socialdemocratici, ultimo gruppo pro-democrazia ancora attivo a Hong Kong, ha annunciato il proprio scioglimento definitivo. La decisione, comunicata il 29 giugno dalla presidente Chan Po-ying, segna la fine simbolica di un’epoca e conferma l’efficacia della repressione politica imposta da Pechino attraverso la legge sulla sicurezza nazionale del 2020. “Dobbiamo pensare alle conseguenze per i nostri amici e compagni”, ha dichiarato Chan, spiegando che la scelta è maturata dopo mesi di pressioni, intimidazioni e arresti. La Lega era rimasta l’unica organizzazione a organizzare piccole proteste pubbliche, veglie e attività di sensibilizzazione, nonostante il rischio di essere perseguiti penalmente. Fondata nel 2006, la Lega dei Socialdemocratici aveva rappresentato una delle voci più coerenti e radicali del fronte democratico, con una presenza storica nel Consiglio Legislativo e nei distretti locali. Dopo lo scioglimento del Civic Party nel 2024 e del Partito Democratico nel febbraio scorso, la Lega era l’ultimo baluardo di un’opposizione ormai smantellata. La stretta autoritaria ha colpito duramente anche la società civile: decine di ONG, sindacati e media indipendenti sono stati costretti a chiudere. La legge sulla sicurezza nazionale, che punisce con pene severe atti di “sovversione” e “collusione con forze straniere”, ha creato un clima di paura e autocensura. Secondo gli analisti, lo scioglimento della Lega rappresenta la fine ufficiale del pluralismo politico a Hong Kong, trasformando l’ex colonia britannica in un sistema a partito unico di fatto. E mentre Pechino celebra la “stabilità ritrovata”, molti cittadini si chiedono se la libertà tornerà mai a sventolare tra i grattacieli della città.